La contestazione a Panebianco
Angelo Panebianco, docente della facoltà di Scienze politiche dell’Università di Bologna, nuovamente sotto attacco dei collettivi studenteschi. In occasione dell’inizio del corso di “Teorie della pace e della guerra”, alcuni attivisti del Cua, si sono introdotti nell’aula dell’accademico, interrompendo la lezione con provocazioni e riproducendo i rumori dei bombardamenti e delle sirene, tipici delle zone di guerra. Si tratta della terza volta nel giro di due anni: nel gennaio 2014 il collettivo Hobo aveva preso di mira la porta dell’ufficio del politologo, verniciata con scritte, per contestare un editoriale sull’immigrazione definito “razzista”; quindi, nell’estate successiva, la stessa porta era stata murata.
Panebianco ha chiesto l’allontanamento dei contestatori
Ancora una volta, l’oggetto del contendere è stato un pezzo che il professore ha scritto per il Corriere della Sera, intitolato Noi in Libia saremo mai pronti?, nel quale il docente ribadiva il ruolo di leadership che l’Italia avrebbe in un eventuale intervento in Libia per combattere lo Stato islamico. Tuttavia, Panebianco parlava anche della dipendenza italiana, nel campo della sicurezza, dagli Stati Uniti d’America, particolarmente influenti fino a questo momento sull’area medio-orientale. Ciò ha comportato, secondo il professore, una incapacità del nostro Paese a sviluppare quella che lui ha definito “cultura della sicurezza”, a cui si lega “la difficoltà dell’Italia pubblica (politica e mediatica) ad affrontare con conoscenze e competenza le questioni della sicurezza”.
“Se la guerra gli piace tanto perché non prova a far lezione sotto il suono delle bombe?” hanno chiesto i contestatori a Panebianco, che li invitava a lasciare l’aula. Nel frattempo, gli attivisti lanciavano manifesti ed esibivano lo striscione “Via i baroni della guerra dall’università”.
La procura di Bologna ha aperto un’inchiesta
La situazione è tornata alla normalità solo dopo l’intervento della Digos e con lo spostamento dei contestatori nel cortile della facoltà. La lezione è, poi, ripresa in un’altra aula. La procura di Bologna ha aperto un’inchiesta: “Si procederà per interruzione di pubblico servizio” ha precisato il questore aggiunto della città felsinea, Valter Giovannini.
All’uscita dall’ateneo, Panebianco – che non ha rilasciato alcuna dichiarazione ai giornalisti – è stato accompagnato dalla vicepresidente della facoltà, la professoressa Pina Lalli, che ha spiegato che “il corso si è svolto ugualmente per la grande competenza del collega”. “Purtroppo – ha continuato l’accademica – mi è stato riferito che in aula è stata pronunciata la parola ‘assassino’ “.
Attestati di solidarietà a Panebianco
Il rettore dell’Università di Bologna, Francesco Ubertini, ha puntato il dito contro l’azione del Cua: “è in netto contrasto con le più basilari regole della vita democratica, la libertà d’espressione è un valore centrale per l’idea stessa di Università”. All’interno della facoltà, studenti e docenti hanno sottoscritto una lettera di solidarietà per il professor Panebianco.
Infine, anche il mondo politico solidarizza con il docente: “impedire una lezione è inaccettabile” ha twittato il sindaco Virginio Merola; “zittire sta diventando trendy, ma non è democratico né di sinistra” ha scritto la senatrice dem Francesca Puglisi, mentre il deputato forzista Gregorio Fontana chiede al governo di riferire in aula dell’accaduto e il ministro Galletti punta il dito contro “i professionisti dell’insulto e della prevaricazione”.