Elezioni Iran: perché sono importanti?
Elezioni Iran: venerdì, 6200 candidati, di cui 586 sono donne, si sfideranno per i 290 posti del Majles, il Parlamento iraniano. Nella stessa giornata, si svolgeranno le votazioni per l’Assemblea degli Esperti, un influente organismo “clericale” decisivo nella nomina della suprema guida religiosa del paese. Entrambe le elezioni offriranno il campo di battaglia per l’importante scontro tra (in Iran non ci sono dei veri e propri “partiti”, comunque, alle elezioni si presenteranno circa 250 formazioni politiche) il fronte dei “conservatori” e quello dei “riformisti”, che si potranno vedere uniti in un’ampia quanto inedita coalizione. Questi ultimi tenteranno in tutti i modi di porre termine a un decennio di dominio dei sostenitori della “linea dura” (non solo) sul “nucleare”.
Elezioni Iran: perché sono importanti?
Anche se l’appuntamento elettorale per forza di cose più importante, cioè quello delle presidenziali, non arriverà prima dell’anno prossimo, le due consultazioni di venerdì arrivano comunque in un momento particolare. Nonostante l’elezione di Hassan Rouhani alla guida del paese, era il 2013, abbia smosso le acque nelle istituzioni della Repubblica Islamica (il suo governo è formato da “moderati”), la maggior parte di queste ultime è rimasta da allora sempre saldamente in mano ai conservatori. Anche se il fronte dei riformisti avrà molte difficoltà a capovolgere la situazione, non è detto che non ci riesca visto che, oltre a poter contare sullo “slancio per il cambiamento” dato dall’elezione dell’attuale presidente iraniano, si presenta combattivo come non accadeva da tempo.
D’altra parte, in Iran, ogni aspirante candidato deve essere valutato dal Consiglio dei Guardiani, un organo formato da chierici e giuristi vicino all’Ayatollah Ali Khamenei. L’arbitrarietà (tra i parametri, per esempio, il grado di istruzione ma anche la «dedizione» ai pilastri dell’Islam) con cui si approvano o meno le candidature è stata spesso oggetto di contestazione da parte dei riformisti: in generale, delle 12mila registrate per la prossima tornata, solo poco più della metà sono state approvate. Invece, dei circa 800 teologi (non prevista la possibilità di candidarsi per le donne) che avevano presentato la propria candidatura per un posto (88 in tutto) all’Assemblea degli Esperti, solo 161 sono stati “approvati”: successivamente a tale cernita, in 6 province si poteva votare per un solo candidato (anche se all’ultimo minuto, la situazione è stata risolta dai 12 membri del Consiglio che ha il compito di interpretare la Costituzione iraniana). Secondo la Maplecroft, società di consulenza politica, sono stati respinti il 45% dei candidati al Parlamento e ben il 74% dei candidati all’Assemblea degli Esperti.
Ecco, anche se le “squalifiche” hanno più o meno “dimezzato” le candidature, colpendo non solo il fronte riformista, non ci sono state minacce di boicottaggio del voto. È probabile che sul low profile tenuto in merito alla questione ci sia la valutazione dell’importanza di queste elezioni. Anche se l’Assemblea degli Esperti ha perso molto della sua effettiva influenza in questi anni – teoricamente ha il potere di “licenziare” la guida suprema se la metà dei suoi appartenenti si pronunciano a favore di tale scelta, tuttavia, Khamenei è diventato così potente da ridurre il suo ruolo a meramente “simbolico” – avrà con tutta probabilità il compito di nominare il prossimo Ayatollah: l’organo ha un mandato di 8 anni, Khamenei ne ha già 76, con qualche problema di salute. Cinicamente, è facile capire che tipo di calcolo stanno facendo i riformisti.
Innanzitutto, bisogna bloccare l’elezione dei tre candidati maggiormente graditi dai conservatori Ahmad Jannati, Mohammad Yazdi e Mohammad Taghi Mesbah-Yazdi. Poi, bisognerà far eleggere a Guida Suprema Ali Akbar Hashemi Rafsanjani, presidente iraniano dal 1989 al 1997 e attualmente a capo del Consiglio del Discernimento (organo che media tra il Parlamento e il Consiglio dei Guardiani). Nel “concreto”, Rouhani non verrà toccato dalla tornata, tuttavia, l’esito del voto potrebbe dargli un maggiore margine di manovra nel varo di “piccole” riforme economiche – l’unica materia sulla quale il Parlamento ha qualche potere reale – con l’obiettivo di attirare investimenti dall’estero (l’Iran è attualmente in “recessione”) ma, soprattutto, nell’attuazione dell’accordo sul “nucleare”, siglato a luglio 2015, osteggiato dai sostenitori della “linea dura”. Inoltre, più i riformisti sapranno guadagnare posizioni importanti prima delle presidenziali del 2017, più aumenteranno le sue possibilità di rielezione.