Si può distinguere la capacità riproduttiva dalla funzione genitoriale? La tecnica è accettabile per superare i vincoli biologici nelle coppie omosessuali?
In questi tempi di dibattito sul ddl Cirinnà si è fatto un grande parlare del diritto per le coppie omosessuali di avere dei figli: la confusione è tanta, l’ideologia è forte. Nell’iter di approvazione del disegno di legge, al Senato è stata posta la fiducia su un emendamento governativo che, tra le altre cose, scansa il nodo della stepchild adoption lasciando alla discrezionalità dei giudici la decisione di adottabilità o meno del figlio dell’altra parte. Nonostante i margini di intervento siano già indirizzati da convenzioni e corti di giustizia europee e internazionali, è opinione comune che il tema necessiti ormai da tempo di una normativa specifica.
Il dibattito sull’adozione del figliastro apre una serie di interrogativi che richiedono un’indagine in grado di travalicare lo scontro tra le parti politiche, tra “progressisti” e “tradizionalisti” o tra “arcobalenisti” e “papisti”. Sospendendo temporaneamente le considerazioni di tipo giuridico e di procedura parlamentare, in questa sede si cercherà di chiarificare il dibattito con un taglio filosofico, emendando la quaestio dalle incrostazioni ideologiche e individuando, in mezzo al polverone mediatico, i problemi specifici in cui si articola. A tal proposito, si utilizzerà un linguaggio che possa fare chiarezza; tecnico a volte, ma mai barocco.
Riproduzione e genitorialità nelle coppie omosessuali
Per prima cosa bisogna distinguere tra la capacità riproduttiva e la genitorialità come funzione (nel senso pedagogico del termine). Questi due elementi, che nella tradizione vengono sovrapposti, in realtà stanno in un rapporto più complesso fra loro, perlomeno da un punto di vista teorico. La capacità riproduttiva è – nei casi di riproduzione sessuata, tra cui quella dell’uomo – la semplice possibilità di due esseri di generarne un terzo attraverso un rapporto sessuale. La genitorialità è il prendersi carico della cura, dell’educazione del sostegno del nuovo nato; è quindi, formalmente, un atto volontario sociale che segue la generazione. Affrontando il problema in questi termini, cioè analizzando separatamente i due elementi, sarà evidente a tutti che una coppia omosessuale – ma anche un singolo di qualsiasi orientamento o una coppia eterosessuale con uno dei due partner sterile – non può compiere una riproduzione sessuale, ma può accettare la genitorialità come funzione. Da un punto di vista biologico, è possibile dire che se l’atto omosessuale è naturale, in quanto è stato riscontrato in numerose specie animali, la riproduzione omosessuale è “contro-natura”, in quanto non presente. In questo senso risultano fragili le argomentazioni di alcuni “progressisti” che pongono la questione nei termini di una privazione di diritti naturali degli omosessuali, in quanto la genitorialità degli omosessuali è necessariamente artificiale, cioè un atto volontario, perciò necessariamente sottoposto al vaglio della scienza etica o nella fattispecie bio-etica. Al contempo non ignoriamo che il concetto di natura nella storia delle idee sia stato utilizzato ben oltre i confini dell’animalità; all’interno nella tradizione cattolica, ad esempio, la scuola tomistica ha sempre considerato l’inclinazione naturale più elevata – e prerogativa dell’uomo – quella della conoscenza della verità per vivere in società. C’è chi ha osservato che, con il medesimo criterio, sarebbero sommamente naturali pure l’amore e l’aspirazione ad una stabile comunanza di vita, anche in relazione all’inclinazione naturale delle persone omosessuali.
Ora si pone questo problema: se sia possibile considerare la genitorialità omosessuale accettabile quanto quella eterosessuale nella società umana. Ci dovrebbe pertanto domandare se fra i due elementi prima menzionati (riproduttività e genitorialità) ci sia un nesso inscindibile oppure se sia legittimo, attraverso degli atti artificiali, rendere genitori due esseri che in natura non potrebbero esserlo, in quanto non potrebbero riprodursi. Tale problema è più problematico di quanto non sia quello posto dalle coppie eterosessuali in cui una delle parti sia sterile, quindi non-riproduttiva per accidente e non per sostanza; cioè un essere che accidentalmente non può riprodursi, ma con un’essenza di essere riproduttivo. Abbiamo individuato un primo elemento fondamentale nel problema trattato che lasciamo affrontare autonomamente al lettore.
Come superare il vincolo biologico? Il problema della riproduzione surrogata
Un secondo nucleo del problema riguarda le modalità con cui possa essere superato il vincolo biologico fra riproduzione e genitorialità. Volutamente sarà messo da parte il caso dell’adozione (e/o stepchild adoption, concetti da tenere opportunamente distinti) per le coppie omosessuali, che rientra nella sezione precedente, in quanto pone la domanda: possono essere genitori due esseri che sono – nel loro rapporto – sostanzialmente non-riproduttivi? Il tema può essere ridotto a quello posto sopra, cioè il nesso fra riproduzione e genitorialità.
Qui invece si deve parlare della cosiddetta “maternità surrogata” o, più correttamente, delle tecniche di procreazione/riproduzione surrogata. La maternità, infatti, è una funzione, ciò appartiene allo spazio della genitorialità e non della riproduzione. Questo problema si interseca con il precedente, cioè riguarda la possibilità di rompere il nesso fra riproduttività e genitorialità, ma aggiunge due ulteriori specificazioni:
1) l’artificialità è declinata nei termini tecnici, quindi pone il problema del rapporto fra natura e tecnica;
2) il problema sociale e (bio)etico della surrogazione della gestazione e del parto, cioè innanzitutto:
a) se sia accettabile la rottura artificiale del rapporto tra il nuovo nato e la gestante;
b) se sia accettabile l’acquisto di una prestazione fisica di questo tipo e se sia eticamente accettabile che ciò avvenga in una relazione a differenziale di reddito, cioè con una delle due parti che ha la possibilità di acquistare una prestazione che viene venduta principalmente per ragioni di necessità economica.
Per quando riguarda il problema (1) si può ritenere – come ad esempio fa Umberto Galimberti – che, dal momento che siamo gettati nel dominio della tecnica, la differenza fra naturale e artificiale non esiste più; di conseguenza non si potrebbe impedire l’utilizzo di un mezzo tecnico in relazione a questo aspetto specifico. Oppure, partendo dallo stesso presupposto, si può per contro sostenere che sia necessario frenare la deriva disumanizzante della tecnica. Su questo tema, con una terza posizione, è stato pubblicato un interessante intervento di Paolo Ercolani.
Sul problema (2), cioè la questione (bio)etica e sociale, c’è una problematica complessa in relazione al quesito (a) che lasciamo agli esperti dello sviluppo psicofisico dei bambini e alla coscienza del lettore. Il punto (b) invece, al netto del riconoscimento unanime del differenziale di reddito nel rapporto di scambio, c’è chi denuncia l'”affitto di un utero” quale forma di grave sfruttamento e chi pensa che l’ingiustizia stia nella struttura economica stessa, e non nel caso specifico della maternità surrogata. Su tutto ciò riflette Michela Murgia: per lei la discriminante non andrebbe cercata nella grandezza del desiderio di un figlio, bensì in “quanto sono disposta a usare il corpo di un’altra per ottenerlo”; così facendo considera il problema rilevante solo per la coscienza individuale e non come problema politico-sociale. In alcuni Stati del mondo ad esempio si è scelto di consentire la riproduzione surrogata solo tra parenti e/o in forma altruistica; del resto, è noto che esistono nazioni estere dove è possibile vendere il sangue o un rene, mentre i trattati europei vietano la commercializzazione del corpo umano e delle sue parti.
Riflettere con serietà, oltre gli steccati ideologici
Sono stati fin qui individuati due nuclei essenziali sui quali una seria riflessione sulla genitorialità omosessuale dovrebbe soffermarsi. Questo gioverebbe sicuramente al dibattito, focalizzando l’attenzione dove è necessaria ed evitando il solito teatrino dello scontro ideologico fra conservatori e ultra-progressisti. I primi, anche se animati dalle nobili intenzioni di preservare il calore del focolare domestico, rischiano di conservare solamente il proprio bigottismo; gli altri invece, anche se animati dalle nobili intenzioni di eliminare le ingiuste discriminazioni del passato, rischiano di svincolare l’individuo dalla sua umanità, consegnandolo a piene mani alla tecnica e al profitto.
Piotr Zygulski e Alessandro Volpi