(In collaborazione con Mediterranean Affairs)
Elezioni Iran: cinquantacinque milioni di iraniani sono stati chiamati alle urne per il rinnovo dei duecentottanta membri del Majles, il Parlamento monocamerale, e degli ottantotto membri dell’Assemblea degli Esperti, organo di supervisione dell’operato della Guida suprema, Ali Khamenei. Si tratta di consultazioni che avvengono in un momento cruciale della storia della Repubblica Islamica. L’accordo sul programma nucleare, concluso nel luglio scorso, ponendo fine a più di un decennio di gelo tra Iran e comunità internazionale, ha avviato una nuova fase, nella quale l’aspetto ideologico sembra aver lasciato spazio alla realpolitik.
Elezioni Iran: perché moderati e riformisti esultano?
Alla riabilitazione internazionale si sommano le aspettative sul piano interno circa l’operato futuro di Hassan Rouhani, cui gli iraniani chiedono ora di mantenere le proprie promesse elettorali a favore di un allentamento della pressione sulla società. Le elezioni del 26 febbraio, i cui risultati si avviano a definizione, hanno ribadito vigorosamente la fiducia all’attuale Presidente. Il fronte sostenitore di Rouhani, quello moderato-riformista, coalizzato nella “Lista della Speranza”, ha infatti ottenuto una netta affermazione. Successo emerso non solo a Teheran, la capitale che con i suoi oltre dieci milioni di aventi diritto al voto orienta tutte le competizioni elettorali in Iran, ma anche in altre importanti realtà, fra le quali alcune aree dell’entroterra tradizionalmente ritenute baluardi dei conservatori.
Il dato impressionante rimane comunque quello della capitale. Il Ministero dell’Interno iraniano ha confermato la conquista di tutti e trenta i seggi parlamentari in palio da parte del fronte pro-Rouhani. Un risultato che rilancia sulla scena politica nazionale Mohammad Reza Aref, l’attuale vicepresidente, che alle presidenziali del 2013 si fece da parte alla vigilia della consultazione lasciando spazio alla scalata di Rouhani. La débâcle dei conservatori è, viceversa, anzitutto una sconfitta interna. Assai profondo è, infatti, il solco intestino fra l’ala più radicale, vicina ai Guardiani della Rivoluzione, i Pasdaran, e quella più pragmatica, disposta al dialogo con l’esecutivo di Rouhani.
La testa eccellente che potrebbe cadere, perdendo il proprio seggio, è quella di Gholam-Ali Hadad Adel, ex presidente del Majles, la cui figlia è sposata con uno dei figli di Khamenei. Salvi il conservatore Ali Motahari, alleatosi con i moderati e in corsa per ottenere il secondo posto a Teheran dietro ad Aref, e Ali Larijani. Quest’ultimo, attuale speaker del Parlamento, è capofila dei conservatori più moderati e, forte del sostegno ufficiale del generale di maggiore Qassem Soleimani, comandante del Corpo delle Guardie della Rivoluzione, è in corsa per vincere a Qom.
I moderati-riformisti potrebbero avere ruolo cruciale anche nella ricomposizione dell’Assemblea degli Esperti. Si tratta di una prospettiva che, se confermata, disegnerebbe nuovi scenari religiosi e politici per l’Iran. La nuova Assemblea resterà in carica per i prossimi otto anni e i suoi membri, considerate le precarie condizioni di salute in cui versa da almeno un anno Khamenei, potrebbero essere chiamati a nominare la nuova Guida suprema.
Attualmente in testa per i moderati-riformisti c’è l’ottantaduenne Akbar Hashemi Rafsanjani, uno degli storici leader della Rivoluzione del 1979, allontanatosi negli ultimi anni da Khamenei e avvicinatosi a Rouhani per chiare opportunità politiche. Tra i conservatori si prospettano le sconfitte di due rilevanti figure: Mohammad Yazdi, Presidente uscente dell’Assemblea degli Esperti, e Mohammad Taghi Mesbah Yazdi, fedelissimo dell’ex Presidente Mahmoud Ahmadinejad. Sarà invece sicuramente rieletto Ahmad Jannati, Presidente del Consiglio dei Guardiani, l’organismo che ha l’ultima parola sui candidati alle elezioni e che alla vigilia del voto ha bocciato le candidature di migliaia di riformisti e moderati. Jannati ha ottenuto l’unico dei sedici seggi di Teheran andato ai conservatori.
Per conoscere i risultati finali si dovrà attendere probabilmente la giornata del 2 marzo. Due ulteriori significativi fattori sono intanto emersi. Anzitutto l’affermazione delle donne: ben venti candidate dovrebbero far parte del nuovo Majles. Altro dato di grande valore simbolico è il successo morale di Mohammad Khatami, il primo Presidente riformista dell’Iran, confinato ai margini della scena pubblica dopo l’elezione dell’intransigente Ahmadinejad e spesosi negli ultimi mesi per sostenere pubblicamente la “Lista della Speranza”.
Nel complesso, le elezioni consegnano a Rouhani la base necessaria per portare avanti in Parlamento il piano di riforme economiche inaugurato con la sua elezione nel 2013. Un piano di apertura verso l’Occidente e, più in generale, verso il concerto internazionale, culminato nell’accordo sul programma nucleare iraniano firmato con i Paesi del Gruppo 5+1 (Stati Uniti, Russia, Cina, Francia e Regno Unito più la Germania) nel luglio 2015, e che gode, dato fondamentale, del sostegno diretto di Khamenei.
Occorre infatti ricordare che il vertice istituzionale iraniano deve necessariamente essere approvato dalla Guida suprema. Ed è quindi proprio dall’affinità Khamenei–Rouhani che continuerà a dipendere la postura internazionale e regionale dell’Iran. Tanto nei rapporti con Europa e Stati Uniti quanto nell’infuocato teatro mediorientale, dove il governo di Teheran è impegnato su due cruciali fronti: il consolidamento del potere sciita in Libano e, soprattutto, in Iraq e il confronto sempre più teso con i sauditi in Siria e Yemen.
(Mediterranean Affairs – Editorial board)