L’Ungheria e quel referendum sui migranti che mette alle corde Bruxelles
Il primo ministro ungherese Viktor Orban, tanto per aggiungere punti alla sua popolarità e ulteriore caos alla risposta alla crisi migratoria dell’UE, ha annunciato un referendum sulle quote di distribuzione dei rifugiati.
Orban sostiene che il piano profughi di Bruxelles non sia altro che “un tentativo per ridisegnare il paesaggio culturale, religioso ed etnico ungherese” e sottolinea che l’UE non ha alcun diritto d’imporre un sistema di condivisione per i richiedenti asilo. “L’introduzione di quote d’insediamento dei migranti senza il sostegno popolare è un abuso di potere”, ha sostenuto Orban a Budapest nel corso di una conferenza stampa, chiarendo che solo i deputati del paese sono preposti ad approvare un piano simile.
Orban ha utilizzato la dura retorica anti-migranti sin dal momento in cui, lo scorso anno, si è intensificata la crisi, e ha guadagnato notorietà per avere eretto una recinzione in acciaio lungo il confine meridionale dell’Ungheria contro gli immigrati – una politica ora adottata anche da altri paesi balcanici.
La mossa di Orban complica ulteriormente la risposta dell’UE alla crisi dei rifugiati, con un’Unione caduta nella confusione più totale la scorsa settimana, quando alcuni Stati membri hanno optato per soluzioni politiche unilaterali, spesso contraddittorie. Nel frattempo, il potere di Bruxelles e Berlino, che hanno diretto le politiche migratorie del blocco, sta diventando sempre più evanescente.
Mentre Orban ha annunciato i suoi piani, l’Austria si è riunita a Vienna con nove paesi per discutere strategie per arginare il flusso di persone dirette al cuore dell’Europa attraverso i Balcani. “È importante e necessario fermare il flusso migratorio lungo i Balcani” – ha insistito con i giornalisti Johanna Mikl-Leitner, il ministro degli interni austriaco – “Dobbiamo attuare misure in collaborazione con i paesi dei Balcani”.
L’Ungheria e quel referendum sui migranti che mette alle corde Bruxelles
Ma la mossa austriaca – che ha volutamente omesso d’invitare la Germania, la Grecia e la Commissione europea – ha fatto infuriare i diplomatici di Berlino, Atene e Bruxelles. I blocchi unilaterali dei confini hanno irritato la Germania, il cui cancelliere Angela Merkel punta invece ad una univoca risposta a livello europeo con la Grecia quale partecipante chiave.
A sottolineare la crescente discordia, l’Austria e la Slovenia non hanno informato la Merkel delle loro decisioni di accettare solo piccoli contingenti di rifugiati. Alexis Tsipras, il primo ministro greco, ha espresso “profonda delusione” per il fallimento dell’Unione nel mantenere fede al suo impegno.
Il referendum ungherese, aggiungendo un ulteriore livello di complessità sia al salvataggio della Grecia che ai rapporti con la Russia, rappresenta la quinta petizione in un anno nella quale uno stato membro ha coinvolto direttamente il suo pubblico. L’estate scorsa Tsipras ha lanciato un referendum sul pacchetto di salvataggio della Grecia; nei Paesi Bassi, il 6 aprile si terrà un referendum sull’ingresso dell’Ucraina nell’UE; la Danimarca in dicembre ha rinunciato alle politiche comuni nei settori di giustizia e affari. Nel frattempo, quest’estate il Regno Unito voterà se rimanere nell’UE.
Lunedì, ai confini tra la Grecia e Macedonia, la polizia ha usato i gas lacrimogeni contro migranti inferociti, i quali hanno divelto le frontiere dopo che Skopje aveva deciso di bloccare i passaggi verso l’Europa.
Peter Kreko, un analista di Political Capital, spiega: “Tutto sommato Orban, finché parla di questioni di migrazione, si trova in una posizione vincente, in quanto lo presentano come il difensore della nazione. È nel suo interesse mantenere questa posizione fino alle elezioni del 2018, il referendum gli eclissa le questioni nazionali, quali l’istruzione e la sanità”.
L’Ungheria è legalmente vincolata al piano UE, che è stato approvato dai leader dell’UE a settembre, seppur dopo una notevole pressione di Berlino; ma l’UE non dispone di meccanismi tali da obbligare a far rispettare le sue politiche. Ecco perché un voto popolare che rifiutasse le sue direttive complicherebbe non poco la situazione a Bruxelles.