La politica della BCE. In attesa della nuova manovra
La politica della BCE. In attesa della nuova manovra
– La politica monetaria espansiva della BCE è semplice. Bastano alcune nozioni di base per capire come funziona, gli ambiti dove è stata più o meno efficace e le motivazioni dell’ulteriore rafforzamento annunciato dal Presidente Mario Draghi. Con il termine Quantitative Easing (QE), traducibile in facilitazione quantitativa, si descrive la modalità con cui BCE crea moneta e la trasferisce al sistema finanziario ed economico con operazioni di mercato. Da un anno la BCE sta acquistando, fino a 60 miliardi al mese, titoli di stato dei paesi dell’Unione monetaria, immettendo moneta. Si tratta di una politica monetaria ultra espansiva.
I passi fondamentali di tale politica sono rappresentati dall’immissione di nuova moneta da parte della BCE tramite l’acquisto di titoli. Ciò produce un aumento del prezzo dei titoli stessi e la riduzione del loro rendimento. Poiché il rendimento dei titoli di Stato è agganciato ai tassi bancari ne consegue un abbattimento degli interessi su mutui e debiti di famiglie e imprese.
Il QE si accompagna a un costo zero (0,05 per la precisione) fissato per le banche che si indebitano con BCE e a un tasso negativo dello 0,3% sulle somme depositate in BCE.
Con queste manovre, senza uguali nella storia europea, BCE si pone diversi obiettivi:
1. ridurre il costo del debito degli Stati dell’area Euro, riducendo i rischi di default dei paesi più indebitati. Senza la garanzia della BCE, gli investitori per finanziare questi Stati richiederebbero tassi ben più elevati;
2. l’aumento del valore dei titoli consente a chi li ha in portafoglio (banche, finanziarie, imprese, privati) di realizzare plusvalenze;
3. attraverso tali plusvalenze le banche hanno conseguito utili straordinari da titoli utili a svalutare le sofferenze e aumentare i patrimoni, anche per rispondere alle richieste della Vigilanza europea;
4. fornendo liquidità al sistema a tasso zero BCE stimola le banche a prestare più denaro a famiglie e imprese o altri impieghi;
5. la riduzione del costo dei debiti verso le banche dovrebbe stimolare una maggiore propensione alla spesa, una crescita dei consumi e quindi dell’economia;
6. tassi bassi aiutano pure a sostenere o “pompare” i corsi azionari; una parte del denaro, si indirizza in Borsa, creando una domanda artificiale di titoli quotati;
7. con il calo dei tassi diventa meno conveniente investire in Euro; la riduzione del flusso di capitali finanziari esteri favorisce la svalutazione e quindi rende più competitive le nostre economie. Dopo il QE, il cambio Euro Dollaro è passato dai massimi di 1,40 a 1,02 con effetti positivi sull’export, per tornare a 1,10 oggi;
8. il mandato della BCE prevede l’obiettivo di mantenere il tasso d’inflazione ad un livello vicino al 2% che la maggior parte degli economisti ritiene essenziale per stimolare i consumi e far crescere il PIL monetario (riducendo per questa via il rapporto debito/PIL). Questo obiettivo è fallito in pieno; infatti i dati sui prezzi di febbraio segnalano deflazione a un anno esatto da quando la BCE ha avviato il suo programma di acquisto titoli.
Un Quantitative easing (quando funziona) accanto alle positività indicate, contiene un problema: con l’aumento dell’inflazione si rivalutano gli asset di chi li ha, ampliando il divario tra ricchi e poveri. Diventa quindi essenziale che i Governi compensino tali effetti sociali con politiche adeguate, per mantenere stabile o spostare verso i livelli più bassi la distribuzione del reddito e della ricchezza.
Il QE della BCE è di tipo monetario, e radicalmente diverso dal Quantitative Easing nato negli Stati Uniti, in cui il Governo Federale ha largamente utilizzato i tassi zero sul debito per un massiccio programma di stimoli all’economia reale attraverso spesa pubblica diretta e minori tasse. E’ mancato in Europa lo sfruttamento da parte dei Governi del principale beneficio del Quantitative easing – la riduzione del costo del debito – per realizzare politiche espansive. Dalle statistiche europee il debito pubblico dell’Eurozona, continua inesorabilmente a crescere, sia in termini assoluti che in relazione al PIL, mentre il credito verso il settore privato langue anche per carenza di domanda di credito “buona”.
Nell’Europa a 28 il rapporto tra debito e PIL è salito all’86,8 % alla fine del 2014, mentre nell’Area Euro, sempre a fine 2014, è salito al 91,9 %. I propositi dei Governi vanno verso una riduzione della pressione fiscale, invero molto alta in Europa, piuttosto che verso una spesa diretta o verso politiche di assunzione di giovani nella Pubblica Amministrazione che, in Italia, si trova in una situazione di invecchiamento, per mancato turn over, e di scarsa innovazione tecnologica ed informatica.
I dati pubblicati il 1 marzo sui prezzi indurranno quasi certamente la BCE a rafforzare la manovra espansiva come da tempo annunciato da Draghi. Gli investitori tuttavia non nutrono grandi aspettative, soprattutto sul fronte degli acquisti di titoli. Nei dati sull’inflazione richiede attenzione il forte rallentamento dei prezzi industriali (escluso il settore energia) saliti dello 0,3% annuo dopo il +0,7% di gennaio. Comincia quindi a pesare il rallentamento della domanda globale e il ri-apprezzamento dell’euro da novembre a oggi malgrado l’orientamento espansivo della BCE; prende corpo l’ipotesi che la globalizzazione abbia creato un eccesso di offerta sui mercati e una pressione al ribasso dei prezzi spinta da produttori del mondo globalizzato, disposti a produrre beni a costi sempre minori. Il 10 marzo, giorno della riunione BCE, vedremo una nuova manovra sui tassi e forse anche, l’auspicato aumento degli acquisti mensili di titoli. Resterà viva però la questione sul reale potere, nell’attuale situazione e dopo le tante iniziative già prese, della politica monetaria.
Bancor