Altro che No Triv, la più grande preoccupazione nei Paesi più verdi d’Europa è che il petrolio finisca
Sarà ironico, ma l’area che più assomiglia al Golfo Persico in Europa è proprio quella possibilmente più diversa, per clima, usanze, religione, sensibilità, politica.
Quella del petrolio e del gas è una storia recente, ma quella del petrolio e del gas nel mare del Nord lo è ancora di più. Alla fine degli anni ’50 furono trovati i primi giacimenti di gas nei Paesi Bassi e poi al largo dell’Inghilterra, ma le aree più promettenti erano quelle più settentrionali, al largo della Scozia e delle isole Shetland, zone ardue in cui costruire piattaforme, ma che entro la metà degli anni ’80 videro la costruzione di più di 100 installazioni.
Fu, come spesso accade, il bisogno a fare la fortuna del petrolio del Mare del Nord, la crisi petrolifera degli anni ’70, che spinse i Paesi a cercare l’autosufficienza, nei limiti del possibile, il risparmio energetico, mentre gli altri prezzi favorivano massicci investimenti in tecnologia che rendevano sempre più sostenibili i giacimenti più difficili.
E’ stata una gara alla scoperta dei giacimenti più grandi e produttivi tra Regno Unito e Norvegia: se il primo nel 2001 ne trovava uno al largo della Scozia da 180-190 mila barili al giorno, il Buzzard, la seconda nel 2010 ne ha scovato un altro da 1,7-3,3 miliardi di barili di riserve, estraibili con un ritmo di 120-200 mila al giorno, e sarà attivo dal 2018.
Sì, perchè nel Mare del Nord si continua a trivellare, estrarre gas e greggio, esplorare, anche ora che le riserve stanno calando. In totale sono circa 173 le piattaforme, lontane o vicino alla costa, su una superficie di 750 mila kmq.
Se naturalmente le aree di estrazione più grandi sono in Medio Oriente il Mare del Nord ha un primato: la più grande flotta di elicotteri per il trasferimento di personale da e verso le installazioni in mare aperto, 2 milioni di persone trasportate all’anno, con l’aeroporto di Aberdeen come base principale. Questo per dare un’idea dell’indotto che tale industria produce, che ci dice anche qualcosa del perchè l’oro nero era uno degli argomenti su cui gli indipendentisti scozzesi, pur di sinistra, più a sinistra dei laburisti, puntavano nel referendum fallito per l’autodeterminazione della Scozia.
Regno Unito autosufficiente per 26 anni
Il risultato di questo sforzo di ricerca e investimenti ha portato al risultato di rendere un Paese industrializzato con popolazione e PIL simile all’Italia (almeno negli anni ’80-’90) completamente indipendente e anzi esportatore netto di petrolio tra il 1980 e il 2006, con un picco di produzione di quasi 3 milioni di barili al giorno nel 1999
E’ poi cominciato un veloce declino, che però ha avuto una netta inversione di tendenza nel 2015, quando la produzione è aumentata del 7-8%, grazie a nuovi giacimenti trovati e resi operativi negli anni precedenti, come il Cladhan al largo delle Shetland.
Naturalmente il prezzo del petrolio getta molte ombre sul futuro di questa industria, ed è previsto che dopo il 2015 il calo riprenda, eppure ci sono ancora 22 miliardi di barili di riserve nel Mare del Nord da sfruttare, in base alle fluttuazioni del prezzo del greggio.
L’Italia produce circa un ottavo di quanto fa il Regno Unito, e si trova in un situazione poco paragonabile in termini di dimensioni, se non in termini di risposta alle opportunità, che che nel Regno Unito è stata veloce, e continua, con il cancelliere dello scacchiere Osborne che nel 2014 ha annunciato ulteriori facilitazioni fiscali per la ricerca di nuovi giacimenti, per l’investimento in tecnologia cost-saving, e per salvare i 450 mila posti di lavoro che dall’industria petrolifera dipendono nel Paese, oltre che le quasi 5 miliardi di sterline di gettito fiscale generato.
Una delle principali differenze tra Italia e Nordeuropa è l‘atteggiamento dell’amministrazione pubblica nazionale e locale, almeno ad osservare i media, la preoccupazione prevalente riguarda il pericolo del declino dell’industria, non quello di una sua continuazione, un atteggiamento diverso da quello emerso per esempio dopo le prime stime su un possibile raddoppio della produzione italiana grazie ai giacimenti lucani, che hanno provocato proteste che hanno visto in primo piano le amministrazioni locali, nello stesso periodo in cui per esempio i gli indipendentisti scozzesi facevano una campagna elettorale basata sulla ricchezza provenienti dalle royalties del petrolio
Un altro effetto della scoperta del petrolio nel Mare del Nord è stata una serrata contrattazione per stabilire i confini marittimi e i permessi di sfruttamento tra le nazioni affacciate sul mare, che lungi dal voler rinunciare a questa opportunità, hanno cercato di aggiudicarsi una fetta quanto più grande possibile.
Una competizione tra vicini lontanissima da quella che invece non avviene tra Italia e Croazia, che stanno avendo atteggiamenti diversissimi di fronte al greggio dell’Adriatico, con la seconda attivissima nelle esplorazioni e il nostro Paese che si guarda bene dal provare a fare lo stesso dal proprio lato o dal difendere le proprie prerogative lungo il confine marittimo
I no triv del Nord lottano contro shale gas e fracking
Anche l’atteggiamento dei no triv locali appare differente in Paesi come Regno Unito e Paesi Bassi, e sembra concentrarsi piuttosto sull’opposizione all’evoluzione della ricerca petrolifera, quella rivolta al petrolio non convenzionale, soprattutto quello di scisto, il famoso shale gas, che si trova intrappolato nella roccia e viene estratto ricorrendo al fracking, ovvero con la rottura della roccia stessa tramite fratturazione idraulica, usando la fortissima pressione di un liquido.
In Inghilterra le proteste sono concentrate nelle aree rurali in cui secondo alcuni studi vi è una quantità di petrolio equivalente a 10 volte quella trovata negli ultimi 20 anni nel Mare del Nord, una miniera di oro nero quindi che fa gola a molti ma che sta scatenando le proteste di chi, in testa Greenpeace, non vuole vedere la campagna inglese trivellata tra l’altro con tecniche che sono controverse e discusse in ambito scientifico per i terremoti che provocherebbe.
Nei Paesi Bassi intanto il governo ha deciso una moratoria fino al 2020 della ricerca di shale gas, soddisfando le richieste degli ambientalisti, ma allo stesso tempo un tribunale di Groningen, nel Nord, dove fu trovato uno dei primi giacimenti di gas del Nord Europa nel 1959, ha dato torto ai cittadini di un comune che chiedevano lo stop all’attività di estrazione per alcuni terremoti provocati da tale attività, stabilendo che può continuare se non vi è gas estraibile da altre località, per ragioni di sicurezza e approvvigionamento nazionale.
Il governo ha in ogni caso limitato, ma non eliminato, i metri cubi estraibili in quel giacimento.
Decisioni controverse, spesso di compromesso, con un occhio all’interesse nazionale e ai posti di lavoro in Paesi che sono ai primi posti al mondo per attenzione ai temi ambientali, dove nessuno ha mai pensato di tenere un referendum nazionale per temi così delicati.
Per noi è la seconda volta, dopo quello sul nucleare del 1987.