Primarie Usa: dilaga la Trump-fobia
Primarie Usa: uno spettro si aggira per gli States. Porta un vistoso ciuffo biondo cotonato, intende fermare l’ingresso degli immigrati di fede musulmana “almeno fino a quando i nostri rappresentanti non riusciranno a capire cosa sta succedendo” e costruire “il più grande muro che si sia mai visto” al confine tra Usa e Messico per arginare il flusso dei clandestini – giusto per citare due delle sue proposte più altisonanti in materia di immigrazione. La corsa di Donald Trump verso la nomination repubblicana per le presidenziali che nel prossimo novembre daranno agli Stati Uniti un nuovo leader dopo l’era Obama, sta assumendo i contorni di una marcia trionfale per l’esuberante tycoon newyorkese – le primarie in Michigan, Mississippi e Hawaii lo hanno visto nuovamente trionfare e se il voto del 15 marzo in tre stati chiave come Ohio, Illinois e (soprattutto) Florida dovesse premiarlo ancora, l’investitura del Gop diverrebbe una formalità per Trump, con buona pace degli sfidanti Ted Cruz e Marco Rubio: il tutto mentre su sponda democratica Bernie Sanders continua a insidiare la scalata di Hillary Clinton.
Primarie Usa: dilaga la Trump-fobia
I consensi mietuti da nord a sud dall’imprenditore della Grande Mela stanno turbando non poco il sonno dei pezzi grossi dello stesso establishment repubblicano, a cui Trump è inviso per via delle sue sparate populiste e demagogiche: l’ultima voce a levarsi è stata quella di Mitt Romney – ex candidato repubblicano alla Casa Bianca, sconfitto da Obama nel 2012 -, il quale ha definito Trump “falso e impostore”, bollando come “recessive” le ricette economiche dell’immobiliarista.
Il ciclone Donald fa paura, dunque, ai democratici quanto ai repubblicani e il solo pensiero di vederlo seduto nell’ufficio ovale di Pennsylvania Avenue sta innescando una sorta di psicosi collettiva negli Usa. Un recente reportage del Washington Post parla di “Trump-anxiety”, dipingendo un Paese in cui sempre più persone corrono dall’analista perché turbate dall’ascesa (per ora) inarrestabile del frontrunner repubblicano. Emblematico il caso dell’insegnante d’arte di Brooklyn Nancy Lauro, che si è messa a cercare sul web informazioni per acquisire la cittadinanza italiana e trovare “rifugio” nella terra dei suoi avi, nel caso in cui dovesse concretizzarsi la prospettiva di una presidenza Trump. E’ sempre il WP a spiegare come durante il Super Tuesday Google abbia registrato un incremento del 350 per cento della domanda “Come posso trasferirmi in Canada?”, digitata dagli utenti nel motore di ricerca.
In questo clima isterico da catastrofe imminente non stupisce l’offensiva lanciata dal mondo dello spettacolo a stelle e strisce contro Donald Trump. Il mese scorso, sul sito Funny or Die, è apparso un mockumentary comico di 50 minuti dal titolo “The Art Of The Deal: The Movie”: il film, che vede un irriconoscibile Johnny Depp nei panni di Donald Trump – preso di mira per i suoi modi pacchiani e megalomani – è ispirato all’omonimo bestseller pubblicato dal magnate nel 1987 ed è stato girato appositamente in bassa risoluzione per dare allo spettatore un effetto da VHS.
Nel frattempo il tycoon è diventato il bersaglio preferito dei principali programmi televisivi satirici Usa. In una recente puntata del suo Daily Show su Comedy Central, Trevor Noah ha messo in relazione alcuni tratti fondamentali dell’ideologia fascista (culto dell’azione, virilità aggressiva, intolleranza alle critiche, nazionalismo spinto, ecc.) con i frame più ricorrenti nella propaganda di Trump, il cui motto è “Make America Great Again”, e ha ironizzato sulla disinvoltura con la quale il miliardario ha retwittato la frase di Mussolini “meglio vivere un giorno da leoni che cento anni da pecora”: “Non lo biasimo – ha affermato Noah nel suo monologo -. Certo, potrebbe essere un motto fascista, ma di sicuro si trova anche sulle pareti di ogni palestra CrossFit in America”. Il presentatore ha inoltre evidenziato le incongruenze di Trump sul suo rapporto con David Duke, ex membro di spicco del Ku Klux Klan che ha recentemente invitato i suoi sostenitori a votare per il magnate. In un’intervista alla Cnn Trump ha dichiarato di non conoscere David Duke né i suprematisti bianchi, mentre in un’apparizione televisiva nel 2000 etichettò l’ex leader del KKK come “un bigotto, un razzista, un problema”: in poche parole, “non è esattamente la persona che vorresti nel tuo partito”.
In un monologo di 22 minuti, il comico britannico John Oliver, conduttore del seguitissimo Last Week Tonight with John Oliver sul canale HBO, ha definito Trump “il neo sulla schiena dell’America: poteva sembrare innocuo un anno fa – ha spiegato – ma ora che è diventato spaventosamente più grande, non è più saggio ignorarlo”. Nel suo lavoro di fact checking, Oliver ha decostruito la narrazione di Trump, come la sua storia imprenditoriale di successo – costellata in realtà da numerosi flop – e la capacità di finanziarsi da solo la campagna elettorale, cosa vera solo in parte, dal momento che Trump ha dato in prestito alla sua campagna 17 milioni e mezzo di dollari (che potrà chiedere indietro tramite una raccolta fondi), donandone personalmente solo 250mila – senza contare i 7,5 milioni di dollari ricevuti come contributi individuali.
JOHN OLIVER – Donald TrumpIl bello del nostro pubblico, a differenza di quello delle altre pagine, è che è sempre attento e voglioso di novità. Ecco l’ultimo editoriale di M̶a̶r̶c̶o̶ ̶T̶r̶a̶v̶a̶g̶l̶i̶ John Oliver
Pubblicato da Comedy Bay su Venerdì 4 marzo 2016
Anche Louis C.K., uno dei stand up comedians più quotati del momento, sembra essere affetto da “Trump anxiety”. In una mail in cui annunciava un nuovo episodio del suo show Horace and Pete, il comico ha aggiunto un lungo post scriptum – pubblicato da Variety -, nel quale ha invitato i suoi fan a non votare per Trump: “Per favore – si legge nell’appello – smettete di votare per Trump. È stato divertente per un po’. Ma questo tizio è Hitler. E con questo intendo che noi siamo la Germania negli anni Trenta. Pensate che abbiano previsto che sarebbe arrivata quella merda? Hitler era solo un tipo spassoso e nuovo con un riporto strambo”. Le simpatie riscosse dal magnate tra neonazisti e altri “hate groups” sono state oggetto anche di un esilarante sketch del Saturday Night Live, un finto spot pubblicitario a supporto del candidato repubblicano intitolato “Racists for Trump”. Insomma, che vinca Clinton o che vinca Sanders per i comici Usa e per gli ambienti liberal al momento non fa differenza: ciò che conta è che a spuntarla non sia Trump.