Il termometro politico segnala temperature roventi dalle parti del Pd. Nell’ultima settimana, complici i casi delle primarie di Roma e Napoli, la minoranza dem, o meglio, i fondatori della ditta, sono tornati a farsi sentire. Il primo a cominciare è stato l’ex segretario Pierluigi Bersani: “Mi spiace che non si veda un po’ di gente che sta cercando di raffigurare un Pd ospitale per un’idea di sinistra se non si apprezza questo sforzo vuol dire che non si sta capendo cosa sta succedendo”. Parole condivise da Massimo D’Alema: “La cultura di questo Pd è totalmente estranea a quella originaria. Molti elettori ci stanno abbandonando. Non so quanto resteranno in stato di abbandono. Nessuno può escludere che, alla fine, qualcun altro riesca a trasformare questo malessere in un nuovo partito”.
Le preoccupazioni sulla trasformazione del Partito in qualcos’altro sono state accompagnate da giudizi negativi sulla strategia politica condotta dalla dirigenza Pd. “Ci stiamo trasformando nella Casa delle libertà” ha affermato Bersani. “La dirigenza Pd è arrogante. Ai capi del Pd non è passato per l’anticamera del cervello di consultarci una volta, in un momento così difficile. Io cosa dovrei fare? Cospargermi il capo di cenere e presentarmi al Nazareno in ginocchio a chiedere udienza a Guerini?” ha tuonato D’Alema.
Alle invettive della ditta, il premier Renzi ha risposto per le rime: “Coloro che chiedono oggi più rispetto per la storia dell’Ulivo sono quelli che hanno distrutto l’Ulivo consegnando l’Italia nelle mani di Berlusconi”.
Parole che hanno indispettito, non poco, Bersani. L’ex segretario dem, dal palco di Perugia dove si è riunita la sinistra riformista, ha replicato al capo del governo: “Sì, lo ammetto, mi sono arrabbiato molto, se mi toccano l’Ulivo… Se al corso di formazione politica vai a dire che la sinistra ha distrutto l’Ulivo, che abbiamo aiutato Berlusconi… Ricordo che il centrosinistra ha battuto tre volte Silvio Berlusconi e che, pochi o tanti voti che io abbia preso, Renzi sta comodamente governando con i voti che ho preso io. Non io Bersani, io centrosinistra”.
Pd, i motivi di uno scontro
Ma come mai la minoranza dem è tornata all’attacco del premier? Per una serie di motivi. Il primo riguarda la data del Congresso. Bersani e l’ala sinistra del Pd vogliono anticiparlo di un anno, a dicembre 2016, per poter puntellare le proprie posizioni e cercare di non sparire. Il secondo punto concerne gli iscritti Pd. Oggi sono 385.320, nel 2009 erano più del doppio (831.042). Il terzo riguarda l’Italicum. La minoranza Pd contesta i capilista bloccati. La paura è quella di essere esclusi dai collegi che contato a scapito dei renziani. Il quarto riguarda la partita che si gioca alle prossime amministrative. In molte città (Milano, Roma e Napoli) la sinistra Pd non si riconosce nel candidato uscito vincitore dalle primarie. Sala, Giachetti e Valente vengono considerati troppo vicini a Renzi. La minoranza dem non nasconde la propria insofferenza. E lancia messaggi ambigui. D’Alema e Bersani, a Roma, voteranno, a parole, Giachetti. Ma non nascondono la loro ammirazione per Bray (ipotetico candidato della sinistra che però oggi ha annunciato che non si candiderà). A Milano, Gherardo Colombo ha declinato l’invito a correre. Rimane in campo la candidatura di Curzio Maltese mentre il popolo arancione appare disorientato dopo che Balzani ha deciso di non essere capolista per Sala. E a Napoli, la questione Bassolino è in evoluzione. Il clima, è teso.