Le previsioni iniziali vanno concretizzandosi sempre più: salvo clamorose sorprese dell’ultim’ora, saranno Donald Trump e Hillary Clinton a contendersi la presidenza degli Stati Uniti d’America. Ex amici che, grazie alle vittorie ottenute la scorsa notte, consolidano ulteriormente le loro leadership, e scaldano già i motori per la battaglia finale.
Repubblicani: l’Ohio rovina la festa a Trump. E Rubio si ritira
Donald Trump si è accaparrato quattro dei cinque Stati in cui si votava: Florida, Illinois, Missouri e North Carolina. A rovinare la festa al miliardario – e a salvare la faccia del partito – è stato John Kasich, che invece ha vinto nell’Ohio di cui è governatore, assicurandosi tutti i 66 delegati che lo Stato assegna. Il meccanismo del winner-take-all era valido anche per la Florida, sulla quale si sono concentrati la maggior parte dei riflettori mediatici. La Florida era l’ultima cartuccia rimasta nelle mani del locale senatore Marco Rubio. Prendere i 99 seggi qui in palio avrebbe significato non solo un riscatto per lo stesso Rubio, ma anche la possibilità di riattizzare le speranze del partito repubblicano per frenare la corsa di Trump. L’esito, tuttavia, è stato impietoso. La Florida ha visto il trionfo di Trump, che con il 46% ha staccato di quasi venti punti Rubio. Quest’ultimo, appreso il risultato, ha annunciato il suo ritiro dalla corsa, nella quale ormai da tempo non credeva più nessuno.
Per Rubio neanche l’onore delle armi. Qualche ora fa, infatti, Trump ha pubblicato sul suo profilo twitter un breve video in cui si riprende la frase del senatore di Miami secondo cui chi vince le primarie in Florida ottiene poi la nomination. Il video si conclude mostrando il frame della CNN che annuncia la vittoria di Trump, seguito da un lapidario “Thanks Marco, We Agree”. L’ennesimo colpo basso a cui ci ha abituato l’ istrionico magnate di New York, che evidentemente non annovera il termine “fair play” nel suo vocabolario.
In queste ore, in molti si chiedono se Rubio – per il bene dell’unità del partito – dichiarerà il suo endorsement a favore di Ted Cruz, che insegue Trump con più di 220 delegati di svantaggio. Non è un caso che Cruz abbia già detto di voler accogliere a braccia aperte i sostenitori di Rubio. Rimane ancora in gara anche John Kasich, che però potrebbe considerare quella dell’Ohio come la missione (compiuta) per sottrarre altri preziosi voti a Donald Trump. Al miliardario dalla folta bionda chioma mancano poco più di seicento delegati per poter ottenere la nomination. Qualora – durante la convention di luglio – non dovesse riuscire a farcela in prima battuta, la questione potrebbe complicarsi, dal momento che a partire dalla seconda votazione gran parte dei delegati risultano “svincolati”. È qui che il partito potrebbe far convergere i delegati su un candidato unico, con il risultato di spaccare l’assemblea a metà e di spingere quasi certamente Trump a candidarsi comunque come indipendente. Ciò significherebbe rendere la Casa Bianca appannaggio dei democratici per altri quattro anni. Al tempo stesso, però, far correre Trump sotto i vessilli del GOP potrebbe rivelarsi una mossa altrettanto fallimentare.
Democratici: Hillary Clinton ipoteca la nomination
Vincitrice indiscussa del secondo Supertuesday, Hillary Clinton viaggia adesso a gonfie vele verso una nomination che non è ancora in grado di afferrare soltanto a causa dell’attribuzione proporzionale dei seggi, meccanismo che rallenta un percorso dal finale ormai scritto. Alcune frizioni nelle ultime settimane (che hanno visto inaspettate sconfitte in aree considerate di forza come il Michigan, il Colorado o il Kansas) non hanno spaventato la già first lady, che questa notte ha fatto l’en plein: cinque stati su cinque. In alcuni di essi – quali Florida, Ohio e North Carolina – il successo è stato inequivocabile; fatica invece nell’Illinois del presidente Obama (50,5%) e nel Missouri, dove lo spoglio ancora in corso attesta una vittoria di appena 0,2 punti su Sanders, tanto che la maggior parte dei delegati ancora devono essere assegnati. In tutti i casi, questo martedì elettorale ha consacrato la Clinton come candidato ufficiale del Partito democratico alla Casa Bianca.
Non manca la delusione nel quartier generale di Bernie Sanders, dove l’entusiasmo era cresciuto in seguito alle ottime prestazioni delle ultime settimane. Dal suo staff erano arrivate giorni fa delle analisi incoraggianti, secondo le quali la Clinton aveva ormai esaurito gli Stati a lei più vicini. Invece gli eventi hanno preso un corso diverso, spegnendo quasi definitivamente le speranze dei fan di Bernie, galvanizzati anche dai recenti attacchi frontali del loro paladino a Trump, oltre che da una brillante performance dell’attore Danny DeVito durante uno degli ultimi comizi del senatore del Vermont.
Malgrado lo sconforto palpabile, Sanders ha subito tenuto a precisare che non è affatto sua intenzione mollare. Non vuole dilapidare il patrimonio di consenso faticosamente raccolto in questi mesi, nonché il non meno importante patrimonio economico accumulato grazie a centinaia di migliaia di donazioni spontanee arrivate da ogni parte del paese. Particolarmente eloquente il post pubblicato sui suoi profili social nelle ultime ore: “Do not settle for the status quo when the status quo is broken”. Un “socialista” di 76 anni che combatte per cambiare lo status quo negli Stati Uniti e che ha messo i bastoni tra le ruote a una delle dinastie politiche più potenti degli ultimi trent’anni: chi ci avrebbe mai scommesso?