Ecco perché Renzi vuole tagliare le soprintendenze
Due mesi fa, il ministro Dario Franceschini, durante un’audizione al Senato presso le commissioni Cultura della Camera e di Palazzo Mandama, annunciò la fase due della riforma dei beni culturali. Che si articola in due tronconi: l’istituzione di dieci nuovi musei autonomi (quindi dotati di autonomia contabile, amministrativa e organizzativa con direttore scelto attraverso bando internazionale) e la ridefinizione delle soprintendenze (spariscono le distinzioni tra istituti specializzati in belle arti, paesaggio e archeologia per far posto ad un’unica soprintendenza, coordinata da un soprintendente a cui le diverse professionalità faranno capo).
Soprintendenze, il segreto di Renzi
L’ultima modifica ha messo in allarme, esperti, studiosi dell’arte, direttori e sindacati: “Non è al cambiamento che diciamo no, ma al rischio di consegnare il territorio agli interessi degli speculatori”. Ma perché Renzi ha voluto tagliare le soprintendenze?
Dietro ci sarebbe una rivalsa del tutto personale. Bisogna tornare indietro al tempo in cui Matteo Renzi era sindaco di Firenze. A spiegare a La Stampa il motivo di tanto astio nei confronti delle soprintendenze è Antonio Paolucci, attuale direttore dei Musei Vaticani, già soprintendente del capoluogo toscano ai tempi di Renzi.
Ricorda bene lo scontro tra l’attuale premier totalmente a favore dei fori da realizzare sulle pareti del Salone dei Cinquecento a palazzo Vecchio nella speranza di “fare lo scoop mondiale” e trovare l’affresco di Leonardo da Vinci che si pensa sia nascosto sotto quello di Vasari. “Non ce lo ha mai perdonato – spiega Paolucci – e la riforma attuale è la conseguenza di quegli scontri”.