8 per Mille, Civati vuole 600 milioni da Papa Francesco
La proposta è arrivata da Pippo Civati e da altri ex-pd confluiti come lui nel gruppo misto: “disposizioni concernenti la disciplina del finanziamento di attività religiose e caritative della Chiesa cattolica e di altre confessioni religiose” è il nome del disegno di legge costituzionale presentato il 10 marzo scorso e poi assegnato alla Commissione Affari Costituzionali. Civati e i suoi si propongono di togliere una quota consistente (600 milioni di euro) alla Chiesa per farla affluire in un nuovo fondo a sostegno dei più poveri.
L’8 per mille è la quota di imposta sui redditi soggetti IRPEF, che lo Stato Italiano distribuisce, in base alle scelte effettuate nella dichiarazione dei redditi, fra se stesso e le confessioni religiose che hanno stipulato un’intesa. Ma non è finita qui: in attuazione dell’art. 47 della legge del 1985-che introdusse appunto l’8 per mille- si prevede che “in caso di scelte non espresse da parte dei contribuenti la destinazione si stabilisce in proporzione alle scelte espresse“.
In parole più spicciole ciò vuol dire che, ad oggi, solo il 37% dei contribuenti decide di destinare l’8 per mille alla Chiesa cattolica, ma grazie all’art.47 alla fine questa ripartizione viene scelta dall’82% del totale. Quindi secondo la prima ripartizione i fondi destinati alla Cei sarebbero pari alla cifra di 485 milioni di euro; secondo la reale ripartizione invece la cifra è di oltre un miliardo di euro. La differenza è di 600 milioni, quelli che il nuovo disegno di legge vuole destinare ai più poveri. Il fatto è che, forse perché non sono a conoscenza di questo meccanismo, i contribuenti che non indicano alcuna destinazione dell’8 per mille sono la maggioranza: fra il 55 e il 60 per cento del totale.
8 per Mille: anche la Corte dei Conti aveva denunciato gli sprechi
Ebbene sì, la Corte dei Conti si è pronunciata sulla questione già nel 2014, con una relazione di 109 pagine che si può trovare facilmente sul web: pagine che “se fossero conosciute, cambierebbero le scelte di milioni di italiani”, scrivevano allora dalle colonne de Il Fatto Quotidiano. Ma cosa scrissero i giudici contabili nella relazione? “Grazie al meccanismo di attribuzione delle risorse dell’8 per mille” scrisse la Corte, “i beneficiari -cioè la Chiesa- ricevono più dalla quota non espressa che da quella optata godendo di un notevole fattore moltiplicativo”.
Nel 2014 la Corte inoltre suggeriva il modello spagnolo come migliore: l’applicazione della normativa spagnola, che elimina il meccanismo della suddivisione dell’inoptato, avrebbe fatto risparmiare allo Stato 600 milioni di euro all’anno. Le somme attribuite dai contribuenti che decidono di devolvere all’Italia la loro quota di 8 per mille dovrebbero essere destinate a finalità come la lotta alla fame nel mondo, l’assistenza ai rifugiati, le calamità naturali e la conservazione dei beni culturali. Negli ultimi 15 anni – ha calcolato l’Espresso – lo Stato ha sborsato circa 10 miliardi di euro, in media 600 milioni l’anno. Lo Stato stesso praticamente non sensibilizza l’opinione pubblica sulle proprie attività, e così facendo i contribuenti non lo scelgono per devolvere la propria quota.
Incredibile come già nel 1996 lo Stato si fosse impegnato a ridurre questo flusso enorme di denaro alla Chiesa: la parte governativa della commissione paritetica Italia-Cei osservava che “la quota dell’8 per mille si sta avvicinando a valori, superati i quali, potrebbe rendersi opportuna una proposta di revisione”. Nessuno dei 17 governi che si sono avvicendati negli ultimi anni ha cambiato le cose: il nuovo corso dato alla Chiesa da Papa Francesco fa sperare Civati, ma di certo non sarà semplice cambiare lo status quo dopo oltre 25 anni.
Giulia Perbellini