ESCLUSIVA Usa 2016, Costa (il Post): Trump e Clinton favoriti per la nomination, ma attenti a “open convention” e caso-email
Usa 2016: dopo un marzo di fuoco i giochi nei rispettivi partiti sono quasi fatti. Hillary Clinton per i democratici e Donald Trump per i Repubblicani. Questi due saranno molto probabilmente i candidati alla presidenza degli Stati Uniti alle prossime elezioni di novembre. Così, dopo l’abbuffata di “Super Tuesday”, “Mega Tuesday” e “Super Saturday”, Termometro Politico ha intervistato Francesco Costa, vicedirettore del Post e autore di una newsletter sulla politica americana che sta spopolando in rete, per chiedergli qualche parere sulla situazione attuale in vista delle convention estive di Cleveland e Philadelphia.
Francesco Costa, iniziamo subito con una domanda a bruciapelo: chi vince le primarie?
Difficile a dirsi, anche se sia Hillary Clinton che Donald Trump hanno un vantaggio consistente e molto difficile da rimontare. Comunque sul fronte dei democratici direi abbastanza certamente Clinton, mentre sul fronte dei repubblicani c’è qualche incertezza in più perché Trump non è ancora riuscito a ottenere la maggioranza assoluta dei delegati assegnati al momento e c’è sempre il rischio che il partito lo boicotti alla convention. Quindi direi Trump, ma con qualche incognita.
Se fossero questi due i candidati alla Casa Bianca dei rispettivi partiti chi vincerebbe le presidenziali di novembre?
E’ troppo presto per dirlo, anche se la favorita credo sia Hillary Clinton.
Partiamo con i repubblicani. Il fenomeno Donald Trump. Intanto, se lo aspettava? Non è stato un po’ sottovalutato come fenomeno?
Assolutamente sì, da me e dalla grandissima parte dei giornalisti statunitensi. Tutti (o quasi) hanno pensato per mesi che ad un certo punto Trump si sarebbe sgonfiato. Sulla base di argomenti concreti. Primo: sia nel 2012 che in altre elezioni del passato avevamo assistito a brevi fiammate di estremisti che poi erano sempre rientrate. Secondo: Trump ha dei tratti che non lo accomunano con nessun altro candidato vincente del passato. Alla luce di quello che è successo fino ad oggi dobbiamo ammettere che Trump ha mostrato di avere molto consenso in una fetta di elettorato repubblicano su questioni politiche come l’economia, i rapporti commerciali con la Cina, il tema della sicurezza per prevenire attentati terroristici. Inoltre Trump ha mostrato una certa efficacia come candidato soprattutto nella gestione dei mezzi di comunicazione per far passare il suo messaggio. Insomma, Trump è stato particolarmente efficace e questo non era stato previsto da nessuno.
Molti anche in America hanno paragonato Trump a Berlusconi, i due hanno delle somiglianze?
Sono sempre scettico nel fare questo genere di paragoni perché la politica italiana è molto diversa da quella statunitense e quindi questi parallelismi rischiano di portarci fuori strada. Detto questo, pur usando tutta la cautela del caso, qualche somiglianza esiste. Berlusconi e Trump sono entrambi imprenditori e usano questo argomento per convincere gli elettori che loro saprebbero fare bene al paese come hanno fatto bene alle loro aziende. In realtà Trump ha dei tratti diversi da Berlusconi e per questo aspetto assomiglia di più a Grillo. Basti pensare all’uso degli insulti come strumento politico. E anche alcune teorie complottiste di Trump, dai vaccini al riscaldamento globale, lo avvicinano più a Grillo. Se proprio vogliamo fare questo paragone, Trump è un ibrido tra Berlusconi e Grillo.
In questi giorni si parla molto della “brokered convention”, ossia della possibilità che Trump non raggiunga i 1237 voti richiesti alla convention di Cleveland. Cosa succederebbe a quel punto?
Tecnicamente i delegati – se nel primo scrutinio sono vincolati a votare il candidato arrivato primo alle primarie – nel secondo scrutinio sarebbero liberi di votare per chi vogliono. A quel punto ci sarebbero delle trattative: Trump cercherebbe di strappare delegati a qualcun altro ma dovrebbe stare molto attento a tenersi i suoi. Secondo alcune notizie degli ultimi giorni, infatti, Ted Cruz sta cercando di infiltrare suoi militanti tra i delegati di Trump così che dal secondo scrutinio questi possano passare dalla sua parte. Inoltre esiste anche la possibilità che una figura terza non uscita dalle primarie – lo speaker della Camera Paul Ryan su tutti – si candidi direttamente alla convention per riunificare il partito. A quel punto insomma non sarebbe più scontato che il candidato repubblicano sia uno di quelli usciti dalle primarie.
Passiamo ai democratici. Bernie Sanders ha vinto in 11 dei 29 stati in cui si è votato fino ad oggi, un risultato che fino a qualche mese fa sembrava impossibile. Quali sono le chiavi del suo successo?
Il successo di Sanders si deve a due fattori fondamentali che gli hanno permesso di colpire Hillary Clinton. Primo: Sanders è visto come una figura spontanea, sincera, autentica perché ha mantenuto le sue posizioni per tutta la vita ed è un politico che non bada troppo alla sua immagine mentre Clinton appare sempre organizzata, “perfettina”, con i migliori consulenti, i migliori discorsi. Sanders ha così potuto far valere questa sua spontaneità con gli elettori più giovani. Secondo: l’economia. Clinton è la moglie del Presidente che è stato accusato di avere dato il la a quella deregolamentazione del settore finanziario che poi ha posto le premesse per la crisi economica del 2007. Clinton inoltre ha rapporti frequenti con banche d’affari, banche d’investimento, la cosiddetta Wall Street che ha contribuito a finanziare la sua campagna elettorale. Al contrario Sanders non ha nemmeno un “Super PAC” alle spalle perché li considera il simbolo dello strapotere della finanza sulla politica.
A che tipo di elettorato si rivolge un “socialista” come Sanders?
I due fattori di cui sopra gli hanno permesso di raccogliere consenso in una certa fascia di elettorato: in particolare i giovani con alto livello di scolarizzazione – gli studenti dei college in primis – e prevalentemente bianchi. Gli elettori afroamericani e latinoamericani infatti non hanno avuto modo di conoscere Sanders in questi anni mentre con Clinton invece questi ultimi hanno un rapporto consolidato. E questo è il motivo per cui Sanders finora sta perdendo le primarie contro Hillary.
Sanders ha ancora possibilità di ottenere la nomination? E se sì, cosa dovrebbe succedere?
Qualche possibilità Sanders ce l’ha ancora. La partita tra i democratici rimarrà aperta fino alla fine di aprile perché nel mese di aprile si voterà in diversi stati che, pur non attribuendo molti delegati, dovrebbero essere più congeniali a Sanders che a Clinton, per profilo e demografia. Se Sanders riuscirà a vincere in molti di questi stati e dimezzare lo svantaggio sul fronte dei delegati, allora potrà puntare alle primarie di maggio e giugno con più fiducia. Ricordiamoci che a giugno si vota in California, stato che assegna moltissimi delegati (475 sui 4725 totali, ndr) e che potrebbe permettergli di ribaltare la situazione. Quindi, per avere ancora qualche possibilità di nomination Sanders deve ridurre il suo svantaggio nel mese di aprile. Se invece tra un mese tutto dovesse rimanere più o meno come oggi, il vantaggio di Clinton sarebbe incolmabile.
A proposito di Hillary Clinton. E’ la candidata più preparata e con più esperienza in politica estera dopo aver servito il Paese come segretario di Stato. Quali sono i suoi pregi e i suoi punti deboli?
I suoi punti deboli sono sostanzialmente due: è vista come una candidata non affidabile e poco sincera soprattutto riguardo ai suoi rapporti con Wall Street e poi, essendo sulle prime pagine dei giornali da vent’anni, è molto difficile che riesca a strappare qualche voto all’altro partito. I repubblicani la detestano da tempo ed è difficile che gli elettori del Gop possano cambiare idea su di lei mentre Obama, sia nel 2008 che nel 2012, portò dalla sua una parte di elettorato conservatore. I suoi punti di forza, dall’altra parte, sono la competenza soprattutto in un momento in cui sicurezza nazionale e lotta al terrorismo hanno assunto un ruolo sempre maggiore tra gli elettori americani e anche il fatto che la sua vittoria avrebbe un valore simbolico notevole: sarebbe la prima Presidente donna e arriverebbe alla Casa Bianca con un sostegno degli afro-americani persino superiore a quello che ebbe Obama nel 2008. La sua vittoria assumerebbe una portata storica per gli americani: dopo il primo Presidente nero, il primo Presidente donna.
Clinton però è vista con scetticismo anche da una parte dell’elettorato democratico. Qualcuno la considera addirittura disonesta. Se venisse incriminata per il caso delle e-mail, cosa succederebbe nel campo dei democratici?
Un’incriminazione farebbe deragliare la sua campagna elettorale: sarebbe una notizia troppo grossa e confermerebbe i timori che molti hanno su di lei. A quel punto si aprirebbero due scenari. Se l’incriminazione dovesse arrivare prima della convention il partito democratico avrebbe la possibilità di cambiare candidato in corsa, con l’attuale vicepresidente Joe Biden in prima fila. Se l’indagine invece dovesse arrivare dopo la convention, per il partito sarebbe troppo tardi: i documenti per presentare le candidature negli stati sarebbero materialmente già stati sottoscritti e a quel punto i democratici si ritroverebbero con un candidato zoppo che avrebbe molta difficoltà a vincere le elezioni.
Venerdì scorso il New York Times ha scritto che Barack Obama avrebbe invitato a sostenere con forza la candidatura di Clinton in un incontro con un gruppo di donatori democratici del Texas. Che peso avrà il Presidente durante i prossimi mesi?
Obama avrà un grandissimo peso sulle elezioni. Il Presidente potrà compensare la mancanza di entusiasmo di molti elettori democratici nei confronti di Hillary Clinton. Ovviamente non prenderà posizione pubblicamente durante le primarie ma dopo la convention farà campagna elettorale per Clinton – se dovesse essere lei a ottenere la nomination – perché non vuole che i risultati della sua amministrazione vadano perduti. Inoltre bisogna tener presente che Obama in questo momento ha il più alto tasso di popolarità degli ultimi tre anni e quindi potrebbe essere molto utile a Clinton.
Intervista a cura di Giacomo Salvini