Pensioni italiane cresciute del 34% in 12 anni, l’inflazione del 21%
Pensioni italiane cresciute del 34% in 12 anni, l’inflazione del 21%
In questi anni le pensioni sono state campo di dibattito e scontro come pochi altri temi. Non è solo un indice dell’invecchiamento della popolazione, ma anche e soprattutto dell’impoverimento della nostra economia, che si ritrova molto spesso a basarsi sulla sicurezza della pensione di un genitore, un nonno, un coniuge invece che su una carriera lavorativa.
Pensioni Italiane: 18 milioni in totale e ancora enormi differenze tra uomini e donne e tra Nord e Sud
Le pensioni in Italia sono 18 milioni, poco più di metà da lavoro dipendenti, il 27% da lavoro autonomo, il 21% sono pensioni sociali, minime, di invalidità, prestazioni assistenziali insomma.
Se però prendiamo il solo 2015, il milione e 200 mila pensioni erogate lo scorso anno per poco più di metà sono di natura assistenziale, e quelle per ex lavoratori dipendenti solo il 30%, e il 18% quelle per lavoro autonomo.
Certamente questa differenza è in parte spiegabile con la minore durata delle pensioni di natura assistenziale, come quelle di invalidità, ma probabilmente soprattutto con l’effetto delle riforme che hanno ritardato l’abbandono del lavoro da chi aveva un’occupazione, mentre ovviamente non influisce su quelle di invalidità o di reversibilità.
Uno dei dati più interessanti tuttavia è la differenza tra i sessi, ancora amplissima.
Sappiamo come la quota di lavoratrici sul totale stia lentamente aumentando, nonostante il tasso di occupazione femminile rimanga tra i più bassi d’Europa, ma per esempio tra le over 55 l’aumento è molto visibile, e tuttavia tra le 18 milioni di pensioni attualmente esistenti gli anni in cui le donne stavano a casa e solo gli uomini lavoravano si fanno sentire: tra le pensioni di anzianità quelle agli uomini sono il 78,4%, mentre in quelle di vecchiaia, che si basano principalmente sull’età e non sugli anni di versamenti, solo il 34,7%.
Anche gli assegni di invalidità, corrisposti a lavoratori dipendenti, sono in gran parte maschili, mentre le pensioni del vecchio ordinamento, prima del 1984, sono in prevalenza femminile, anche per la maggiore durata della vita umana delle donne.
Se passiamo alle pensioni di reversibilità, che, ricordiamo, sono tra le più alte d’Europa, solo per l’11,9% sono erogate a uomini!
Se guardiamo alle pensioni erogate nel 2015 c’è un piccolo tentativo di riequilibrio, la quota maschile di pensioni di reversibilità è salita al 18,7%, ma i divari tra i sessi rimangono enormi.
Come enormi sono le distanze tra le aree del Paese: l’incidenza per 1000 residenti delle pensioni di vecchiaia è molto più alta al Nord che al centro e al Sud, il contrario accade per le pensioni di invalidità o quelle sociali, con una frequenza doppia al Sud rispetto al Nord!
Una conseguenza naturale è che gli assegni siano più alti al Nord, di circa 270€. La redistribuzione di fatto attuata più o meno lecitamente con la concessione di più assegni di invalidità e di più pensioni sociali ha il suo effetto
Naturalmente vi è da ricordare che un pensionato può ricevere più di un assegno, cosa che tipicamente accade con le pensioni di reversibilità associate a quella già posseduta dal superstite.
Pensioni italiane, cosa è cambiato negli anni
Cosa è accaduto negli ultimi 12 anni? Il rapporto annuale dell’INPS non si limita a fotografa la situazione attuale, ma mostra anche cosa è cambiato nel tempo.
L’effetto delle riforme delle pensioni, l’invecchiamento demografico e allo stesso tempo del cambiamento del modello lavorativo, più discontinuo e precario, è evidente nel declino della quota di pensioni di vecchiaia (contributiva o di età) e l’aumento di quelle di reversibilità almeno tra le pensioni di natura previdenziale.
Non stupisce neanche l’aumento dell’età in cui queste vengono liquidate
Negli anni sono divenute una minoranza, come abbiamo visto, in particolare dopo la pensione Fornero che ha ritardato il pensionamento dei lavoratori, a vantaggio di quelle assistenziali, come le pensioni minime e quelle di invalidità
Il cambiamento più rilevante tuttavia è l’aumento in generale di cui le pensioni hanno goduto in termini monetari
Dal 2004 è stato del 34%, una crescita che non è stata frenata neanche dalla crisi economica, con le pensioni di vecchiaia che sono cresciute del 36%, quelle di invalidità previdenziale del 34%, ai superstiti del 33%, solo le invalidità civili, tra l’altro quelle più cresciute di numero, sono salite meno dell’inflazione, del 19%.
L’inflazione infatti. E’ stata del 21% circa dal 2004 ad oggi. In media quindi un pensionato ha avuto un aumento del proprio reddito reale del 13%. In un periodo in cui il PIL è invece calato, siamo infatti ora allo stesso livello del 2000.
Pochi lavoratori possono dire lo stesso considerando che anche i salari hanno continuato a crescere negli ultimi 12 anni, ma moltissimi, soprattutto quelli autonomi o precari, il posto l’hanno perso, la loro attività è fallita, mentre tra i pensionati non ci possono essere “licenziamenti” o decurtazioni degli assegni.
Anche il timido tentativo di legare almeno in parte l’erogazione delle pensioni al ciclo economico, effettuato con il blocco delle rivalutazioni per chi è sopra 3 volte il minimo è stato bocciato dalla Corte Costituzionale, costringendo il governo a dare un bonus di conguaglio.
Qualcuno deve aver pensato il tipico “piove sul bagnato”. Soprattutto considerando le proposte di revisione della pensione Fornero per permettere pensionamenti anticipati con decurtazioni meno che proporzionali, quindi con un esborso ulteriore da parte del contribuente che già paga il sistema pensionistico più caro d’Europa.
E anche le proposte dei vari redditi minimi, di cittadinanza, o di “dignità”, che di fatto, osservando alcuni dati sulle pensioni, già esistono, anche se in modo completamente distorto, sotto forma di pensioni di invalidità erogate in modo perlomeno poco chiaro, vista la prevalenza in alcune regioni molto più che in altre.
Tutti provvedimenti che prima di essere realizzati dovranno vedere un riordino e un riequilibrio del sistema pensionistico, perlomeno per riavvicinarlo a canoni europei, in termini sia banalmente monetari e di spesa, sia nel controllo sulle vere e proprie truffe che vengono perpetrate