Nagorno-Karabakh: sarà una nuova guerra?
Lunedì, dopo il terzo giorno di scontri tra l’Azerbaigian e i separatisti, il presidente armeno Serzh Sargsyan, ha avvertito che il focolaio di violenza attivatosi in Nagorno-Karabakh rischia d’innescare una guerra a tutto campo.
I pesanti combattimenti tra le forze armate dell’Azerbaigian e dell’Armenia del fine settimana hanno messo in evidenza le irrisolte controversie e la cronica instabilità interna che ancora colpisce le principali aree strategiche dell’Europa, anche se l’attenzione politica e di sicurezza si sono spostate verso le minacce esterne.
Con i leader dell’UE concentrati sulla guerra civile in Siria, la guerra in Ucraina, la crisi dei rifugiati e la minaccia del terrorismo islamico, l’improvvisa eruzione di violenza di sabato nella regione del Nagorno-Karabakh, l’enclave all’interno dell’Azerbaigian dominata dagli armeni e non riconosciuta a livello internazionale, è arrivata come un brutto colpo.
L’alto grado d’allarme internazionale ha trovato risposta concreta e rapida in Federica Mogherini, il capo della politica estera dell’UE, che ha invitato tutte le parti a rispettare il cessate il fuoco del 1994, a cui hanno fatto eco il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, e John Kerry, il segretario di Stato Usa.
La nascita della enclave Nagorno-Karabakh
Anche se Nagorno-Karabakh non è un territorio molto vasto – è sede di circa 150.000 persone – è un punto di grande infiammabilità per la rivalità di forze, tensioni etniche e religiose. Dopo la rivoluzione bolscevica russa, alla fine della prima guerra mondiale, i nuovi governanti di Mosca hanno fondato all’interno della Repubblica Socialista Sovietica dell’Azerbaijan, la regione autonoma del Nagorno-Karabakh, con una maggioranza etnica armena.
Quando l’impero sovietico cominciò a implodere alla fine del 1980, sono scoppiati i combattimenti, con gli armeni cristiani che cercavano di spezzare la presa dei musulmani turchi azeri. Si pensa che siano morte fino a 30.000 persone prima della tregua del 1994. Da allora, la Russia ha principalmente sostenuto l’Armenia, mentre la Turchia e l’Iran tendono a prendere le parti di Baku. Gli interessi occidentali sono concentrati principalmente sui giacimenti di petrolio e di gas off-shore del Mar Caspio dell’Azerbaijan.
Mosca, che attualmente co-presiede il gruppo di Minsk, ha chiesto un immediato cessate il fuoco. Sergei Shoigu, il ministro della difesa russa, ha avuto colloqui telefonici d’emergenza con i suoi omologhi armeno e azero.
Le altre (preoccupanti) zone “congelate”
La regione separatista della Transnistria – storicamente conosciuta come Bessarabia – in Moldavia, ne è un esempio calzante; un altro esempio è l’Abkhazia, che il presidente russo Vladimir Putin, ha incoraggiato a dividersi dalla Georgia dopo una breve guerra nel 2008. Il congelamento di un conflitto può essere un atto deliberato di politica statale per stabilire un nuovo status quo creato dai fatti sul terreno. Questo è ciò che sembra accadere in seguito all’invasione e all’annessione russa della Crimea nel 2014, e la tregua in seguito istituita in Ucraina orientale. I paesi occidentali hanno dichiarato che l’annessione della Crimea è stata una palese violazione del diritto internazionale e che non avrebbero mai permesso che avesse un seguito; ma l’attenzione s’è spostata altrove, e con ogni mese che passa, l’annessione sembra sempre più congelata e quindi sempre più difficile da invertire. Eppure, aggiungendo nuovi conflitti congelati a quelli esistenti o fare poco per risolvere quelli che già esistono è potenzialmente una ricetta per un disastro.
Mentre è in corso la lotta per l’incontrollata immigrazione di massa, il terrorismo e le altre sfide di politica estera e di sicurezza, si spera che i leader europei non permettano che scoppi una violenta guerra sulla porta di casa. La probabilità è che gli scontri Armenia-Azerbaigian possano essere disinnescati, almeno per ora. Ma dato che così tanti paesi potenti hanno un interesse nel risultato, diventa abbastanza chiaro il pericolo di una escalation pianificata.