Primarie USA 2016: il Wisconsin rimette in gioco Ted Cruz
Alla fine è andata come molti si aspettavano (e come i sondaggi avevano previsto). Con il 48,3% dei voti, Ted Cruz ha vinto le primarie del Wisconsin, superando nettamente Donald Trump (35,1%) e John Kasich (14%). A Cruz dovrebbero andare ben 33 delegati, soltanto 3 a Trump. Per quel che riguarda i democratici, invece, è di nuovo Bernie Sanders (56,4%) ad avere la meglio su Hillary Clinton, ferma a poco più del 43%.
Repubblicani, vacillano le certezze di Trump
Se fino a qualche settimana fa Donald Trump correva spedito verso la nomination repubblicana, è possibile affermare che la certezza di una sua vittoria finale non appare più così granitica, per quanto sia ancora favorito rispetto agli ultimi due sfidanti rimasti in gara. Tuttavia – salvo clamorosi successi in Stati come New York e California – l’ipotesi di ottenere la nomination “in prima battuta” (ottenendo cioè la maggioranza assoluta dei delegati) si fa sempre più improbabile.
Il Wisconsin ha premiato Ted Cruz, che nelle settimane precedenti aveva ricevuto il sostegno del locale governatore Scott Walker, anch’egli come Cruz esponente della destra conservatrice. Il senatore del Texas, dunque, continua a fare incetta di endorsement. Dopo aver raccolto il sostegno ufficiale degli ex candidati Graham, Perry, Fiorina, Huckabee e Bush, egli attende con ansia che si pronunci in suo favore anche Marco Rubio, suo collega in Senato e già candidato ritiratosi all’indomani della bruciante sconfitta nella sua Florida.
Cruz rimane adesso l’ultima carta che l’establishment repubblicano può giocarsi per fermare l’avanzata di Trump, dal momento che appare esclusa per ora l’ipotesi di un candidato “unitario” da tirare in campo durante la seconda fase della convention, quella delle trattative e delle alleanze alle quali si dovrà fare necessariamente ricorso per conseguire la maggioranza assoluta.
Dal canto suo Trump ostenta la consueta baldanza, anche se – dati alla mano – la strada per la nomination appare per lui piuttosto incrinata e colma di ostacoli. Come spiegato da un team di esperti del sito The Hill, le probabilità di toccare quota 1237 delegati (cioè la maggioranza assoluta) sono molto risicate. Anzi, dopo i risultati di stanotte quasi nulla. L’assegnazione dei delegati avviene con sistemi diversi a seconda dello Stato in questione, sistemi che fino ad ora hanno premiato – in proporzione ai voti ottenuti – proprio Cruz. Quest’ultimo detiene al momento ampie possibilità di ridurre la quota di seggi a suo svantaggio, e l’appoggio di larga parte del partito gli ha permesso di assicurarsi anche una buona quota dei delegati “non vincolati”.
Conscio della possibilità di perdere la nomination pur risultando il più votato, Trump ha dichiarato alla Fox di non escludere una sua candidatura da indipendente. Sul lato opposto, diversi sono gli esponenti repubblicani che punterebbero ad un “ammutinamento” qualora dovesse essere invece Trump a vincere. Insomma, l’irrompere del populismo di Trump sulla scena del Grand Old Party si sta rivelando finora un nodo molto complicato, che difficilmente verrà sciolto senza scontentare qualcuno. Che sia in termini di consensi o di identità, tutto lascia immaginare che il prezzo da pagare per i repubblicani potrebbe essere molto alto.
Democratici, l’uccellino portafortuna di Sanders
Bernie Sanders cavalca invece un trend positivo che lo ha visto conquistare il sesto Stato di seguito. Dopo essersi assicurato lo Utah e l’Idaho con circa l’80% dei voti, nel sabato antecedente alla Pasqua il senatore più a sinistra del paese ha vinto in altre tre aree tra loro molto diverse, sempre con percentuali notevoli: 81,6% in Alaska, 69,8% nelle Hawaii e 72,8% nello stato di Washington. Stanotte è arrivato invece il colpo in Wisconsin.
Questa successione di vittorie ha galvanizzato nuovamente l’ambiente sanderista, che ha ritrovato l’entusiasmo degli inizi, come conferma anche l’impennata di donazioni registrata negli ultimi giorni. Soltanto nello scorso fine settimana alle casse del comitato elettorale sono arrivati ben 4 milioni di dollari donati da parte dei sostenitori. L’ennesima spinta dal basso che reca con sé un solo significato: la base ci spera ancora, non crede in un esito già scritto e insisterà fino a quando non sarà la matematica a condannare il sogno di Bernie Sanders.
A inondare di carica simbolica la singolare vicenda di un “socialista” mai così vicino alla Casa Bianca, un simpatico episodio avvenuto due settimane fa, durante un comizio a Portland. Mentre il senatore del Vermont teneva il suo discorso, un uccellino ha cominciato a giragli intorno fino a posarsi di fronte a lui. “lo so che non ci assomiglia ma questo uccello è in realtà una colomba che ci chiede di portare la pace nel mondo”, ha commentato Sanders, mandando prevedibilmente il pubblico in visibilio. Il giorno dopo – alla vigilia di Pasqua – ecco la “resurrezione” di Bernie Sanders, che stravince in Alaska, Hawaii e Washington.
Non ci è dato sapere quando (e come) finirà l’avventura dello “zio Bernie”, come è stato ormai ribattezzato negli ambienti progressisti di tutto l’Occidente. Molti sondaggi, campionati su base nazionale, lo attestano quasi alla pari con Hillary Clinton. Tuttavia, l’analisi più approfondita – e realistica – va svolta scorporando il dato nei singoli Stati. Circa 3 delegati su 5 sono già stati assegnati, e la Clinton guida la corsa con oltre settecento delegati.
Il prossimo appuntamento importante – dopo i caucus del Wyoming che si terranno sabato – è lo Stato di New York, dove la frontrunner del Partito democratico dispone di un vantaggio solido anche se, alla luce dei fatti, tutt’altro che incolmabile. Qui (si vota il 19 aprile) ci sono in palio 291 delegati, gran parte dei quali andranno con molta probabilità ad ingrossare le fila della Clinton, che può contarne a suo favore già oltre 1700, a fronte del rivale fermo a 1056. Ma Sanders non arretra di un centimetro, e assicura di volersela giocare fino alla fine.