Chi c’è dietro ai Panama Papers

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Nel dibattito riguardo ai cosiddetti Panama Papers si inserisce anche Wikileaks, l’organizzazione fondata da Julian Assange, che tramite il suo profilo Twitter attacca le modalità con cui stanno venendo diffuse le rivelazioni e ipotizza una regia americana dietro lo scandalo.

 

La presunta regia statunitense sui Panama Papers

In particolare si fa riferimento al fatto che i media stiano dando grande evidenza al coinvolgimento di personaggi vicini al presidente russo Vladimir Putin, grande nemico degli USA, e che le rivelazioni riguardo ai conti offshore diffuse dall’ International Consortium of Investigative Journalists (ICIJ) siano in realtà opera dell’ Organized Crime and Corruption Reporting Project (OCCRP), agenzia no profit finanziata dall’ Usaid (l’ Agenzia Statunitense per lo Sviluppo Internazionale) e dall’ Open Society Foundations, fondata dal finanziere George Soros. In realtà i legami tra queste organizzazioni, che peraltro sono facilmente verificabili dal momento che tutti i dati sono pubblicamente accessibili sui siti web, sembrano essere meno eclatanti; tra i molti sostenitori dell’ ICIJ figura l’Open Society Foundations, che collabora con l’ OCCRP, che a sua volta è sostenuta dall’Usaid e opera anche in partenrship con una miriade di organizzazioni, tra cui l’ ICIJ.

Anche il fatto che non siano ancora stati pubblicati nomi di cittadini americani ha destato sospetto e per molti costituirebbe la riprova di una regia di matrice statunitense; in realtà i Panama Papers contengono migliaia di nomi di cittadini americani, ma nessuno di eccellente è fino ad ora emerso dalle verifiche. Va ricordato come il lavoro di verifica da parte delle varie testate appartenenti al consorzio dell’ ICIJ stia continuando anche in queste ore, e quindi non sono da escludere rivelazioni future riguardanti persone statunitensi. Inoltre va sottolineato come molte delle società offshore coinvolte abbiano sede proprio negli USA, in Stati considerati paradisi fiscali come Delaware e Nevada, e che l’ ICIJ si è già reso protagonista di inchieste, come quella chiamata Luxleaks, che hanno portato alla luce il coinvolgimento di diverse multinazionali americane.

Due modelli di giornalismo

L’accusa di Wikileaks riguarda inoltre alcuni aspetti legati alla diffusione dei documenti i quali, secondo il portavoce Kristinn Hrafnsson, andrebbero rilasciati nella loro integrità e accessibili al pubblico. “Pensate che dovremmo pubblicare gli 11 milioni di documenti che abbiamo di Panama Papers in modo che ciascuno possa consultarli come abbiamo fatto in altre occasioni?”, è la domanda provocatoria che gli hacker hanno pubblicato sul loro profilo Twitter. Appare evidente che in gioco non ci siano solo i fatti dell’attualità, ma diverse visioni del giornalismo del ventunesimo secolo: da un lato, il citizen journalism puro di Julian Assange e Wikileaks, che pubblicarono direttamente i link per accedere alla totalità dei documenti sottratti, lasciando ai cittadini il lavoro di verifica e ricerca delle connessioni scomode del potere; dall’altro il giornalismo d’inchiesta dell’International Consortium of Investigative Journalists, che si è avvalso del lavoro e della collaborazione di più di 500 giornalisti di oltre 100 testate internazionali (tra le quali L’Espresso), che si configura come un giornalismo in un certo senso più tradizionale poiché mediato, in cui le masse di dati e informazioni vengono filtrate e analizzate dal lavoro di professionisti. Come dichiarato nel proprio sito dall’ ICJI: “Siamo un’organizzazione di giornalismo investigativo e, in quanto tale, segnaliamo storie che sono di pubblico interesse. […] Altre parti dei documenti sono di natura privata e di nessun interesse pubblico. ICJI non rilascerà dati personali in massa ma continuerà ad analizzare tutte le informazioni con i suoi media partners”. A rimarcare le differenze con l’organizzazione di Julian Assange era stato nei giorni scorsi lo stesso direttore dell’ ICJI Gerard Ryle, che a Wired USA aveva dichiarato: “Noi non siamo Wikileaks, stiamo cercando di mostrare che il giornalismo può essere fatto responsabilmente”.

Federico Ziglioli