Non lasciamo Google (da solo) a scrivere la storia

Pubblicato il 1 Giugno 2014 alle 12:59 Autore: Guido Scorza
google chrome

E’ corretta, ineccepibile, rispettosa ed aperta al dialogo ed al confronto con le Istituzioni europee la risposta di Google alla Sentenza con la quale, nei giorni scorsi, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha stabilito che i motori di ricerca hanno l’obbligo di disindicizzare ogni pagina web contenente dati personali, dietro semplice richiesta dell’interessato e salvo che quest’ultimo non sia un personaggio pubblico o non sussista un diverso interesse pubblico alla conoscenza della notizia.

Big G ha scelto un’intervista di Larry Page al Financial Times ed un post sul blog ufficiale per annunciare che, da oggi, chiunque potrà compilare un apposito modulo online, allegare un proprio documento di identità e richiedere di disindicizzare ogni risultato di ricerca che contenga propri dati personali, ritenuto “inadeguato, irrilevante o non più rilevante, o eccessivo in relazione agli scopi per cui è stato pubblicato”.

“Durante l’implementazione di questa decisione, valuteremo ogni singola richiesta e cercheremo di bilanciare i diritti sulla privacy della persona con il diritto di tutti di conoscere e distribuire le informazioni”, scrive Google nella pagina attraverso la quale gli utenti possono compilare il modulo per la richiesta di disindicizzazione”

“Durante la valutazione della richiesta – prosegue il team di Big G – stabiliremo se i risultati includono informazioni obsolete sull’utente e se le informazioni sono di interesse pubblico, ad esempio se riguardano frodi finanziarie, negligenza professionale, condanne penali o la condotta pubblica di funzionari statali.”.

Ma non basta perché Google, oltre a promettere di fare il possibile per bilanciare il diritto alla privacy con il diritto all’informazione nella valutazione di ogni singola domanda di disindicizzazione, preannuncia, per bocca di uno dei suoi fondatori, di aver anche deciso di approfondire il tema dell’equilibrio tra tali diritti, dando vita ad un apposito Advisory Committe.

L’Europa ha vinto ed ha imposto al gigante americano di rispettare le sue leggi? E’ davvero un trionfo della legalità sul farweb?

Credo sia vero l’esatto contrario.

L’Europa rischia di uscire sconfitta da questa vicenda.

Tanto per cominciare perché, da oggi, di fatto il bilanciamento tra due diritti fondamentali dell’uomo e del cittadino come quelli alla privacy ed all’informazione diviene competenza di un soggetto privato e viene sottratto ai Giudici nazionali ed alle Autorità Garanti per il trattamento dei dati personali.

E’ Google che – in ossequio alla Sentenza della Corte di Giustizia – si incarica di “cercare di bilanciare i diritti sulla privacy della persona con il diritto di tutti di conoscere e distribuire le informazioni”.

Un’affermazione che ha in sé il germe della sconfitta dello Stato di diritto che abdica l’amministrazione della giustizia in un settore drammaticamente rilevante per l’equilibrio democratico e lo sviluppo economico di ogni Paese a favore di un soggetto privato, lasciato solo ad agire da arbitro di ciò che i cittadini hanno diritto a leggere e ciò che è bene non leggano e non sappiano.

Ma non basta.

Oggi si registra un’altra sconfitta perché si consegna, di fatto, il diritto di scrivere la storia nelle mani dei suoi protagonisti nel senso che ciascuno di noi si ritrova a poter scegliere cosa di lui e delle proprie imprese – piccole e grandi, nobili e meno nobili – il resto del mondo avrà diritto a sapere e ricordare nel tempo.

Ma la storia – nonostante gli sforzi in questo senso di tanti potenti del passato – non possono scriverla gli uomini che ne sono protagonisti perché, così facendo, la si svuota di obiettività.

Che senso avrà, domani, interrogare un motore di ricerca per saperne di più su un fatto di cronaca – o di storia – e su una persona, sapendo che i risultati della ricerca raccontano una mezza verità, epurata di ciò che taluni hanno scelto di rendere inaccessibile?

E d’altra parte chi mai potrà chiedere a Google o ad un Giudice di ri-indicizzare un contenuto troppo affrettatamente disindicizzato in ragione della sua rilevanza pubblica e del diritto del mondo a sapere?

Nessuno, perché nessuno ha diritto ad esigere da Google l’indicizzazione di una pagina web.

Tanto basta a creare un’insostenibile asimettria tra il diritto dei singoli alla privacy ed il diritto dell’umanità a sapere, conoscere e condividere informazioni e contenuti.

C’è poi la questione della frammentazione del web.

Google, infatti, si impegna a disindicizzare solo i contenuti pubblicati sotto nomi a dominio europei il che vuol dire che mentre centinaia di migliaia di link a pagine web nazionali scompariranno, ogni anno, dai risultati della ricerca, i link agli stessi contenuti pubblicati su pagine web extra-europee vi resteranno.

Tanto basta per falsare ancora di più il processo di scrittura della storia perché, di fatto, si lascia che a raccontarla in autonomia siano solo taluni, mettendo cerotti censorei sulla bocca di tanti altri.

La storia del vecchio continente la racconteranno solo gli altri.

Non possiamo lasciare Google da solo a scrivere la storia.

E’ urgente che le nostre Istituzioni si riapproprino di un compito che spetta loro e che non può essere demandato a nessun soggetto privato: decidere quando il diritto del mondo a sapere debba prevalere sul diritto del singolo a che gli altri non sappiano.