Caso Regeni, a che punto sono le indagini
Oggi si apre un’altra settimana di fuoco per l’Italia sul caso Regeni. Nel pomeriggio si incontreranno per la prima volta dal suo richiamo l’ambasciatore italiano al Cairo Maurizio Massari e il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, di ritorno dal G7 di Hiroshima.
Durante il vertice in Giappone il titolare degli Esteri ha parlato del caso anche con il suo predecessore alla Farnesina Federica Mogherini, oggi Alto Rappresentante per la Politica Estera e la Sicurezza Comune europea, che ha invitato a “sostenere” l’Italia nei confronti dell’Egitto sulla vicenda Regeni. In settimana poi il procuratore di Roma Giuseppe Pignatone e il pubblico ministero Sergio Colaiocco inoltreranno alle autorità egiziane la rogatoria internazionale già annunciata dopo il fallimento del vertice di giovedì e venerdì scorso tra gli investigatori italiani ed egiziani.
I magistrati italiani vogliono approfondire la vicenda dei 5 criminali uccisi in una sparatoria dalla polizia egiziana accusati dal Cairo di aver rapito e poi assassinato il ricercatore italiano. Pignatone e Colaiocco richiederanno tabulati e celle telefoniche dei 5 presunti assassini perché sul loro conto fino ad oggi non è stato consegnato alcun documento dagli investigatori egiziani.
Caso Regeni, l’Egitto fa muro
Ad oggi, comunque, una cosa è certa: il Cairo continua a mantenere quella linea di ambiguità tenuta fino a questo momento nonostante dichiarazioni di facciata e photo opportunity. La richiesta delle autorità italiane infatti verrà quasi sicuramente rispedita al mittente. Lo ha annunciato venerdì scorso il sostituto procuratore della capitale egiziana Moustafa Soliman riassumendo la due giorni di vertici romani. Secondo le autorità egiziane infatti impossessarsi dei tabulati dei 5 banditi “sarebbe contro la Costituzione e le leggi vigenti egiziane”.
Questo diniego di un elemento fondamentale per i pm italiani non ha impedito a Soliman di mostrarsi comunque appagato per gli incontri: “il 98% delle richieste italiane sono state soddisfatte”. Ieri una fonte considerata “autorevole” dal giornale Almasry Alyoum avrebbe riferito il contenuto del colloquio avvenuto tra il procuratore generale Nabil Sadeq e il suo braccio destro Soliman al ritorno da Roma. “A questo punto le nostre indagini si fermano qui- avrebbe detto Sadeq – il caso Regeni è ormai una questione diplomatica di primo livello. Noi continueremo il nostro lavoro investigativo solo qualora emergessero nuovi elementi utili alla procura”. Come dire: noi una verità l’abbiamo trovata, il nostro lavoro è finito.
Regeni rapito in piazza Tahrir
Intanto, giorno dopo giorno, emergono nuovi fatti sempre più inquietanti sulla tempestosa vicenda del ricercatore italiano ucciso al Cairo lo scorso 25 gennaio. Proprio quel giorno nella capitale egiziana si tenevano le celebrazioni per il quinto anniversario della rivoluzione di Piazza Tahrir, primo passo verso le dimissioni dell’allora Presidente Hosni Mubarak.
Secondo quanto ha scritto ieri Repubblica, lo stesso Giulio Regeni sarebbe stato rapito nella piazza simbolo della rivoluzione. Lo scoop del quotidiano di Largo Fochetti si baserebbe sull’informazione emersa dal vertice di venerdì secondo cui alle 19.59 del 25 gennaio il telefono di Giulio fosse connesso con la rete dati della fermata della metropolitana che lo avrebbe portato al suo appuntamento in piazza Tahrir. Così “a meno di non voler immaginare un sequestro nella folla o su uno dei vagoni del metro”, questo significa che quella sera Regeni aveva preso regolarmente la metro e raggiunto la fermata di Piazza Tahrir. Poi più niente.
Un altro dettaglio che emerge dalle testimonianze provenienti dal Cairo dimostra un’altra verità su cui stanno indagando i magistrati italiani. Ovvero quella secondo cui a mettere i documenti di Giulio nella casa della sorella di uno dei criminali sia stata la stessa polizia egiziana. “Non può essere stato nessun altro” ha affermato al Corriere della Sera Rasha Tareq che avrebbe perso nella sparatoria il padre, il marito e uno dei due fratelli. La borsa rossa con bandiera dell’Italia che si vede nelle foto pubblicate dalla polizia egiziana come prova del rapimento di Regeni “era di mio fratello Saad” ha dichiarato Rasha. “Il portafogli con la scritta ‘Love’ è di mia madre. I soldi erano il frutto della vendita di un’auto a un tizio di Dubai”. Solo la polizia può aver fatto una cosa simile, continua la donna. “E la prova è che tra gli oggetti c’è il portafogli marrone di mio cognato: lo aveva con sé quando lo hanno ucciso”. Mentre scriviamo nessuna smentita è arrivata dal governo egiziano.
Caso Regeni, cosa può fare ora l’Italia
Dopo aver richiamato l’ambasciatore, ora il governo italiano non ha grande spazio di manovra. Per esempio potrà “sconsigliare” i viaggi di connazionali in Egitto cercando di premere sul tasto del turismo già caduto in disgrazia dopo la fine dei rapporti diplomatici con la Russia.
Vladimir Putin infatti dopo l’attentato terroristico sull’Airbus della compagnia siberiana Metrojet nel Sinai che ha portato alla morte di 217 passeggeri (quasi tutti russi) aveva deciso di bloccare qualunque volo “da e per” l’Egitto. L’Italia non farà la stessa cosa ma potrebbe usare una via più scoraggiando i cittadini italiani a non volare verso l’Egitto. Oppure, altra ipotesi sul piatto, il governo italiano potrebbe anche congelare tutti quei rapporti di membership che le università italiane hanno con gli istituti egiziani: in primis riguardo alla mobilità internazionale degli studenti dei due paesi. Comunque, tutte manovre che difficilmente potrebbero mettere alle strette il governo egiziano. E d’altronde proprio ieri è stato lo stesso Ministro degli Esteri Paolo Gentiloni ad ammettere che lo spazio per azioni troppo drastiche è davvero limitato: “non si può certo fare la guerra mondiale”.
Caso Regeni, tutti gli interessi economici in campo
Se finora la crisi diplomatica non è esplosa provocando la rottura completa tra i due paesi, un motivo c’è e va ricercato negli interessi economici che Italia ed Egitto mantengono tutt’oggi. L’interscambio annuale tra i due paesi vale circa 5 miliardi e, soprattutto, molte aziende italiane hanno fatto negli ultimi anni degli investimenti importanti in Egitto. In primis, ça va sans dire, l’Eni che lo scorso anno ha scoperto Zohr, il giacimento di gas più grande del mediterraneo.
Secondo molti, grazie a questo nuovo giacimento, nei prossimi anni l’Italia potrà risparmiare molto sul fronte delle risorse energetiche importate. Ma non è solo l’azienda di Claudio Descalzi ad avere importanti interessi in Egitto: tra gli altri ci sono anche Edison, Saipem, Tecnimont, Ansaldo Energia, Italcementi, Breda. Insomma, l’Italia sul caso Regeni può continuare a fare la voce grossa. Ma con un occhio al portafogli.
Giacomo Salvini
Twitter @salvini_giacomo