Siria, avanzano le truppe lealiste
Siria: in seguito alla tregua, siglata a fine febbraio a Damasco fra Russia, lealisti di Bashar Al Assad e circa trenta gruppi di opposizione al regime, le truppe governative stanno avanzando in territori da oltre un anno in mano a Daesh o alle milizie jihadiste di Jabhat Al Nusra, affiliate ad Al Qaeda.
Siria, avanzano le truppe lealiste
Il 27 marzo i militari di Al Assad hanno riconquistato città e sito archeologico di Palmira. Immediatamente dopo, l’avanzata ha consentito la ripresa del nodo strategico di Al Qaryatain, oasi nel deserto siriano, dove dall’estate scorsa era issata la bandiera del Califfato e che è stata a lungo teatro di una sistematica pulizia etnica perpetrata ai danni dei cristiani. Strappata Al Qaryatain ai miliziani, grazie anche alla copertura garantita dall’aviazione russa, le truppe lealiste si dirigeranno ora, con tutta probabilità, verso il confine iracheno con l’obiettivo di disinnescare le traiettorie di rifornimento fra l’est del Paese e le montagne di Qalamoun, ovest della Siria, ancora sotto il controllo di Daesh.
Il tentativo di reazione dei jihadisti non ha sortito effetto. Domenica 3 aprile è stata sferrato un nuovo vano attacco alla base aerea di Deir Al Zour, territorio di 200’000 abitanti, da mesi sotto l’assedio dei miliziani, che nella zona utilizzano il famigerato “gas mostarda”, l’iprite, capace di penetrare nella cute in maniera distruttiva. L’iprite è statp adottato anche contro i Peshmerga curdi, che si battono con il Califfato sull’insanguinato confine siro-iracheno.
Anche nel nord-ovest del Paese l’offensiva contro le milizie di Al Nusra prosegue con costanti progressi da parte dei governativi che, proprio lo scorso 3 aprile, mentre avveniva l’attacco jihadista a Deir Al Zour, hanno ucciso mediante un raid aereo Abu Firas, personaggio di enorme spessore del jihadismo siriano. Già combattente in Afghanistan negli anni Ottanta, aveva collaborato con Osama Bin Laden e con Al Qaeda prima di diventare uno dei laeder della rivolta contro l’esecutivo di Al Assad: era ritenuto il massimo artefice della spietata politica di imposizione della sharia in tutte le aree della Siria in mano al Califfato.
Le crepe del fronte anti-Assad iniziano a essere anche intestine. La tregua del 27 febbraio ha provocato forti tensioni zone siriane controllate dai ribelli, tra i combattenti che hanno aderito al cessate il fuoco e milizie islamiste escluse dall’accordo. La tensione è presto sfociata in scontri armati tra i miliziani di Al Nusra e Free Syrian Army, composto da ex militari dell’esercito regolare e volontari di varia provenienza. Nei giorni scorsi, combattimenti sono esplosi nella città di Ma’arat Al Nu’man, nel nord del Paese, tra i miliziani, pro-tregua, della 13° Divisione ribelle e miliziani di Al Nusra, sostenuti dagli ultra estremisti della brigata Jund Al Aqsa. Questi ultimi hanno avuto la peggio e ora nella zona è tornata una, probabilmente apparente, calma.
In corrispondenza di questi eventi, sempre più importante, sta diventando il ruolo iraniano in favore di Al Assad. A rendere più precario il futuro dei ribelli jihadisti siriani è stato, infatti, il 4 aprile l’annuncio da parte del Ministero della Difesa dell’Iran riguardo l’invio, a supporto dei lealisti, di un contingente regolare iraniano: la 65° Brigata Nohed, forza di élite dell’esercito di Teheran. Si tratta di un evento di una portata simbolica enorme. Finora l’Iran aveva inviato in Siria solo milizie dei Pasdaran, non inquadrate nelle Forze Armate regolari. È la prima volta, infatti, dalla guerra tra Iran e Iraq del 1980, che un contingente regolare dell’esercito iraniano varca i confini del Paese. Un atto che conferma che il peso determinante degli attori esterni attivi nel rebus siriano sta passando dalle mani dell’Occidente a quelle di due superpotenze con idee di politica estera molto chiare: Russia e Iran.
Matteo Anastasi
(Mediterranean Affairs – Editorial board)