Minoranza PD e Riforma costituzionale, lo scontro con Renzi si sposta sul referendum
La riforma costituzionale è andata: l’ok è definitivo. La battaglia parlamentare è stata vinta da Renzi, ma in autunno sarà il referendum. E nel tragitto che porterà alla votazione popolare – in quanto la norma non è stata votata da 2/3 del Parlamento – nel Partito Democratico esplodono alcuni prevedibili malumori.
Renzi sa che la sua vita politica deriva proprio dall’esito del voto del referendum d’ottobre. E sta già cercando di porre uno schema del genere: ‘Renzi sì’ o ‘Renzi no’. Un plebiscito, sostanzialmente. E’ il primo punto di rottura con la minoranza Pd è tratto, quindi. Speranza, Cuperlo e compagnia vogliono porre l’accento su come non si tratti di un referendum sulla persona del premier e lo esprimono attraverso una nota: “trasformare un confronto sul merito in un plebiscito su una politica, una leadership o una nuova maggioranza di governo troverà l’opposizione ferma di chi, come noi, si è fatto carico del bisogno di completare una transizione aperta da troppo tempo. Con il voto di oggi, dunque, si apre l’ultima tappa di un processo che deve trovare nel primo partito del Paese la cultura della responsabilità, del rispetto delle opposizioni, della ricerca ostinata di un terreno condiviso sul fronte delle regole della democrazia. La Costituzione della Repubblica è molto più di ciascuno di noi. Sarebbe imperdonabile piegarla al vantaggio contingente di una stagione. Su questo principio fonderemo le nostre scelte”.
Renzi si fa forte dei temi caldi presi in esame, come il considerevole abbassamento di numeri dei senatori (da 315 a 100, per altro non eletti direttamente) oltre che la sostanziale fine del bicameralismo perfetto, se non per certi delicati temi. E pone l’accento sul continuo delle riforme, il quale non può che passare se non con l’approvazione del referendum: “il ‘no’ al referendum sulle riforme è inspiegabile con argomenti di merito. Si spiega solo con l’odio personale verso di me”. Ossia: “o riesco a fare le cose o me ne vado e se ne trovino un altro”, sembra aver detto più volte il premier nei saloni di Palazzo Chigi ai suoi fedelissimi.
La battaglia sarà quindi di natura ideologica: non trasformare il referendum in un plebiscito, al fine di non snaturare la consultazione. In definitiva la sinistra dem dà un parere positivo, nella nota di cui sopra, sostenendo come “con tutte le nostre critiche e riserve oggi esprimiamo un voto a favore della riforma. Siamo consapevoli che la bocciatura di questo testo nell’ultimo passaggio alla Camera segnerebbe quasi certamente il fallimento di una stagione trentennale durante la quale a più riprese, e con diversi protagonisti, si è cercato di riformare la parte ordinamentale della Carta. Un epilogo simile scaverebbe un solco ancora più profondo tra l’opinione pubblica e le istituzioni”. Una battaglia ideologica, ma non solo: a breve comincerà la battaglia feroce su listini ad hoc, listini ad hoc con preferenza, preferenza diretta, collegi uninominali e chi più ne ha, più ne metta. Un autunno caldo, l’ennesimo, alle porte.
Daniele Errera