Che cos’è il Migration Compact
Con una lettera di due pagine datata 15 aprile 2016, il governo italiano guidato da Matteo Renzi ha presentato all’attenzione di due organi importanti del potere esecutivo europeo, la Commissione ed il Consiglio, “un contributo di pensiero su un possibile percorso per migliorare l’efficacia delle politiche esterne dell’Unione”.
All’interno della bozza specifica del piano italiano, definita “Non-paper” o proposta informale di accordo in attesa del placet da parte di tutti gli Stati membri, viene stabilito uno schema effettivo, fatto di aiuti, linee d’azione e richieste peculiari, che preveda la collaborazione sinergica tra l’Unione e tutti i principali Paesi centri catalizzatori dei più robusti flussi migratori. Nell’introdurre tali intenti, palazzo Chigi ha fatto altresì esplicito riferimento all’esempio del recente accordo tra Unione europea e Turchia circa il controllo dei migranti, considerandolo non un modello ideale senza pecche, ma certamente una buona transizione d’equilibrio geopolitico.
Tale contributo d’intesa, il Migration Compact, è suddiviso in tre paragrafi. I primi due vengono dedicati ad una descrizione indicativa delle nuove rotte geografiche di mobilitazione e spostamento dei migranti ed alla constatazione del fallimento delle recenti politiche interne d’accoglienza e contenimento europee, il titolo del secondo punto “Lessons Learned”, in tal senso è emblematico. Si cita espressamente l’inadeguatezza anacronistica della Convenzione di Dublino nonché la necessità di uno spostamento d’attenzione dal controllo delle frontiere interne, a quello delle frontiere esterne. In ultimo, nel terzo e più importante paragrafo, si esplicitano cinque possibili risoluzioni che il Vecchio continente potrebbe implementare per aiutare i principali Paesi di transito direttamente sul loro territorio.
Migration Compact: cinque proposte di risoluzione
Il terzo paragrafo del Migration Compact, avveniristicamente titolato “The Way Forward”, enuclea cinque possibili punti concreti che l’Europa potrebbe adottare al fine di meglio gestire le proprie frontiere esterne e, contemporaneamente, chiede una attiva collaborazione da parte degli Stati limitrofi per ciò che concerne controllo e analisi dei flussi in partenza, cooperazione e gestione del ricollocamento, contrasto al traffico illecito d’uomini e masse. Ecco nello specifico cosa l’Unione potrebbe fare secondo la visione d’orizzonte della strategia italiana:
1) Foraggiamento delle infrastrutture adatte al contenimento ed allo smistamento degli Stati del Corno d’Africa e del Vicino Oriente, tramite l’utilizzo specifico dei già esistenti fondi di investimento europei gestiti dalla Banca europea per gli investimenti (BEI).
2) Creazione di Eurobond comunitari dunque obbligazioni emesse direttamente dall’Ue in favore dei Paesi maggiormente oberati dal peso delle principali rotte d’afflusso e transito, al fine di favorirne il concorrenziale ingresso nel mercato dei capitali.
3) Costituzione di alcune squadre di sicurezza per una maggiore salvaguardia logistico-organizzativa dei confini.
4) Supporto tecnico, amministrativo e legale per l’implementazione meritocratica di opportunità di sviluppo economico e accesso al mondo del lavoro: a tal proposito si citano specifiche quote d’ingresso per tutti coloro i quali abbiano le caratteristiche idonee all’attraversamento dei confini comunitari, nonché potenziamento dei programmi di studio e cooperazione internazionale per i giovani.
5) Incentivi pecuniari per gli Stati esterni alle frontiere dell’Unione che si dimostreranno in linea con gli standard d’esercizio delle principali norme del diritto d’asilo comunitario.
Riccardo Piazza