Primarie Usa 2016, a New York la rivincita di Trump
Nelle esclusive stanze della ultralussuosa Trump Tower di New York si festeggia per tutta la notte. Donald Trump non ha vinto, ha stravinto. Con un 60,5% che va oltre ogni aspettativa (e che gli regala almeno 90 dei 95 delegati in palio nello Stato), il miliardario ha disintegrato i suoi unici due rivali rimasti in gioco, John Kasich e Ted Cruz, fermi rispettivamente al 25% e al 14,5%
Primarie USA, Repubblicani: l’enigma della maggioranza assoluta
Una netta affermazione di Trump era largamente attesa, dato che giocava in casa. Ma le proporzioni della vittoria sono talmente vaste da riaprire anche le possibilità – ancora molto risicate – di toccare quota 1237 delegati, quel numero magico che permetterebbe a Trump di toccare la maggioranza assoluta dei delegati complessivi, evitando così lo scenario di una convention contestata in seguito alla quale il partito rischierebbe di frantumarsi in vista della sfida finale per la Casa Bianca.
Eppure, come mostra un recente sondaggio della NBC, il 61% degli elettori repubblicani potrebbero ridiscutere la propria preferenza per il partito qualora il candidato alla presidenza del Paese fosse Trump. Non è un caso che, dopo mesi, le rilevazioni continuino ad attestare “The Donald” sempre in prima posizione ma – dato particolarmente interessante – quasi mai oltre il 40%. Ciò significa che c’è una larga parte (probabilmente maggioritaria) dell’elettorato GOP che proprio non riesce a digerire questa candidatura indipendente nata quasi per provocazione e che, a suon di demagogia e invettive, rischia di stravolgere gli equilibri interni.
Le personalità più in vista del partito, quasi tutte schierate al momento con Cruz, lavorano alacremente per una candidatura unitaria che in sede congressuale possa ricompattare tutti. Per poter conseguire l’obiettivo, però, è necessario non solo azzerare al più presto la possibilità che Trump ottenga i suddetti 1237 delegati, ma anche fare in modo che vi si avvicini il meno possibile. Anche a tal fine è utile che rimanga ancora in gara John Kasich, il quale a New York dovrebbe ottenere tra i 3 e i 5 delegati (a differenza di Cruz che è rimasto a secco) e che conta di ottenerne altri soprattutto negli Stati della costa atlantica (Pennsylvania, Maryland, New Jersey).
In ogni caso, due tra i più illustri esponenti del partito, Paul Ryan (speaker della Camera dei Rappresentanti) e Jim Gilmore (ex governatore della Virginia) hanno già pubblicamente manifestato l’indisponibilità a una nomina “dall’alto” nell’eventuale seconda (o terza, quarta ecc.) votazione. Intanto, la prossima settimana saranno chiamati al voto altri cinque Stati, che complessivamente assegneranno oltre 170 delegati. È probabile che già in questa occasione capiremo definitivamente se l’ipotesi di una contested convention potrà effettivamente concretizzarsi.
Primarie USA, Democratici: la Clinton verso la nomination
New York ha sancito anche la definitiva consacrazione di Hillary Clinton come candidata del Partito democratico alla Casa Bianca. A dire il vero, i numeri ancora non regalano la certezza all’ex Segretario di Stato, ma il 58% ottenuto ieri nello Stato di cui è stata senatrice per due mandati le permette di ritrovare una tranquillità che mancava da qualche settimana.
Malgrado la serie ininterrotta di sconfitte (sette in quasi un mese) e le pesanti critiche dovute agli eccessivi flussi di denaro che arrivano da lobby e potenti gruppi finanziari (l’attore George Clooney ha parlato di “una quantità oscena”), la Clinton ha dato una grande prova di forza, aggiudicandosi nettamente l’importante sfida newyorkese, che rappresenta oggi un punto di svolta cruciale per tutta la campagna elettorale, e che le permette di poter finalmente guardare con sicurezza a una nomination forse ipotecata troppo presto.
Dal suo canto, Bernie Sanders ha accettato una sconfitta attesa nonostante le folle oceaniche che lo avevano celebrato in questi giorni a Brookyln. Penalizzato anche dalla regola delle primarie “chiuse” (a New York potevano votare soltanto gli elettori registrati entro lo scorso ottobre), Sanders ha ottenuto comunque un risultato di tutto rispetto, portando a casa 108 delegati.
Elettoralmente parlando, è evidente che sia servita a poco la visita-lampo di venerdì scorso in Vaticano, dove Sanders è intervenuto in un convegno sui temi dello sviluppo economico globale riuscendo anche ad incontrare papa Francesco, con il quale si è intrattenuto per alcuni minuti prima che questi partisse per Lesbo. Non è valso a molto, per Sanders, neppure l’atto di rendere pubblica la sua dichiarazione dei redditi, dalla quale è emersa una somma annua (circa 200mila dollari) inferiore a un solo discorso a pagamento tenuto dalla Clinton: un esercizio di trasparenza che evidentemente non si trasforma in consensi.
Solo l’assegnazione proporzionale dei seggi continua a tenere ancora in gioco – almeno teoricamente – il senatore socialdemocratico del Vermont, ormai rassegnato a una battaglia di testimonianza. L’entusiasmo dei suoi sostenitori, però, non sfugge alla Clinton, che con grande abilità sta già cercando di “corteggiare”. Rivolgendosi alla base elettorale di Sanders, la Clinton ha dichiarato che ci sono “più questioni a unirci che a dividerci”. Sicuramente tra queste non c’è il conto in banca.