Scontro governo-magistrati, Davigo risponde a Renzi
Si acuisce lo scontro tra il governo e i magistrati. Alle durissime parole di ieri del Presidente del Consiglio Matteo Renzi sui “25 anni di barbarie giustizialista” ha risposto stamani in un’intervista al Fatto Quotidiano Piercamillo Davigo, neo presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati (Anm). “E’ una vecchia storia, questa del ‘giustizialismo’ e del ‘conflitto’ – ha dichiarato l’ex pm di Mani Pulite al direttore Marco Travaglio – non c’è nessuna guerra. Noi facciamo indagini e processi. Se poi le persone coinvolte in base a prove e indizi che dovrebbero indurre la politica e le istituzioni a rimuoverle in base a un giudizio non penale, ma morale o di opportunità, vengono lasciate o ricandidate o rinominate, è inevitabile che i processi abbiano effetti politici”. Poi Davigo rispedisce l’accusa al mittente: “se la politica usasse per le sue autonome valutazioni gli elementi che noi usiamo per i giudizi penali e ne traesse le dovute conseguenze, processeremmo degli ex. Senza conseguenze politiche”.
Scontro Renzi-pm, il premier: 25 anni di barbarie giustizialista
L’intervista del Presidente dell’Anm arriva subito dopo il discorso di ieri del premier Renzi al Senato dove le opposizioni avevano presentato due mozioni di sfiducia al governo (entrambe respinte) per l’inchiesta sui petroli che ha travolto il ministro dello Sviluppo Economico Federica Guidi. Il premier aveva già attaccato frontalmente i magistrati durante la direzione Pd del 4 aprile scorso. In quell’occasione Renzi aveva invitato i giudici ad arrivare fino in fondo nei loro processi perché “ci sono indagini della magistratura a Potenza con la cadenza delle Olimpiadi e non si è mai arrivati a sentenza”. Nelle ultime settimane inoltre l’ex sindaco di Firenze ha mostrato una certa irritazione nei confronti dei magistrati potentini rei di aver sentito come testimone Maria Elena Boschi e soprattutto messo al centro del dibattito pubblico il tema del petrolio che avrebbe potuto influenzare – cosa che poi non è avvenuta – il referendum del 17 aprile sulle “trivelle”.
Così ieri il premier è tornato all’attacco. “Io sono per la giustizia sempre, non per i giustizialisti - ha iniziato Renzi di fronte ai senatori – io credo nei tribunali, non nei tribuni. Io rispetto le sentenze dei giudici, non le veline che violano il segreto istruttorio. Quando invitiamo i giudici ad andare a sentenza noi non stiamo accusando la magistratura, noi stiamo rispettando la Costituzione italiana”. Poi, dopo aver ricordato i tanti “giudici eroi” che hanno perso la vita nella lotta alla “mafia, camorra, corruzione e illegalità”, Renzi ha affondato la stoccata finale: “Ma questo Paese ha conosciuto negli ultimi venticinque anni anche pagine di autentica barbarie legate al giustizialismo. Un avviso di garanzia è stato per oltre vent’anni una sentenza mediatica definitiva. Vite di persone perbene sono state distrutte mentre i delinquenti avevano il loro guadagno nell’atteggiamento demagogico e populista di chi faceva di tutta l’erba un fascio”. “Quando un magistrato è messo nelle condizioni di lavorare – ha concluso Renzi – deve essere aiutato, quando però non si arriva a sentenza e si immagina semplicemente di condannare le persone sulla base delle comunicazioni date ai giornali, in quel momento mi ergo contro il giustizialismo, che fa solo vittime e che non aiuta il Paese”.
Scontro Renzi-pm, Davigo: smettano di delegare tutto alla magistratura
Dopo la nuova offensiva del Presidente del Consiglio è arrivata così la risposta di Davigo. Il Presidente del sindacato dei magistrati prima ha affermato che tra il governo Renzi e quelli precedenti (sì, anche quelli di Berlusconi) esiste solo “qualche differenza di linguaggio” e poi ha risposto direttamente alle accuse mosse al mondo della magistratura da parte del governo.
I politici dovrebbero smetterla di delegare ai magistrati la selezione delle classi dirigenti, e poi di lamentarsi pure. Dicono: aspettiamo le sentenze. Poi, se arriva la condanna, strillano. Se il mio vicino di casa è rinviato a giudizio per pedofilia, io mia figlia di sei anni non gliel’affido quando vado a far la spesa. Poi, se verrà scagionato, si vedrà. La giustizia è una virtù cardinale: ma anche la prudenza! Tutti, al posto mio, si comporterebbero così. Perché ciò che vale nella vita quotidiana non vale nel mondo politico-imprenditoriale?
Intercettazioni, ecco il nuovo bavaglio
Intanto sulla lunga scia dell’inchiesta della Procura di Potenza si torna a parlare di intercettazioni. Nonostante le smentite del premier, ieri l’ex Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha ribadito la tesi esposta due giorni fa in un intervento agli Stati generali dell’esecuzione penale in cui auspicava un’accelerazione della legge sulle intercettazioni. “Vengono pubblicate anche intercettazioni manipolate, pezzi di conversazioni estrapolate dal contesto – ha detto ai giornalisti il Presidente emerito della Repubblica – com’è successo al mio consigliere D’Ambrosio che ci ha rimesso la pelle con un attacco cardiaco. E io certe cose non le dimentico”. Il riferimento è al consigliere giuridico del Quirinale Loris D’Ambrosio (deceduto nel luglio 2012) intercettato dai pm di Palermo con l’ex Presidente del Senato Nicola Mancino, indagato nel processo sulla Trattativa Stato-mafia. La posizione di Napolitano è condivisa da molti all’interno della maggioranza e anche in una parte del mondo della magistratura, tanto che il vicepresidente del Csm Giovanni Legnini al Corriere della Sera ha svelato le prossime mosse dell’organo di autogoverno dei magistrati sul tema intercettazioni: “la settima commissione sta elaborando linee guida per indicare a tutte le Procure italiane ‘buone prassi’ assumendo il contenuto delle importanti e positive circolari emanate dai procuratori di Roma, Torino, Napoli e Firenze” così che non saranno più pubblicati “i colloqui personali irrilevanti”. Intanto in Commissione al Senato continua l’iter del ddl di riforma del processo penale approvato a Montecitorio lo scorso 23 settembre al cui interno è stata inserita una delega al governo per regolare la “diffusione di comunicazioni penalmente non rilevanti”. Secondo la legge delega per chi deciderà di pubblicare queste intercettazioni è prevista la reclusione con una pena “non superiore a 4 anni”.
Giacomo Salvini
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