Earth day: il primo passo verso una low carbon economy?
Earth day: dal 22 aprile 1970 la “Giornata della Terra“, nata attraverso la mobilitazione studentesca, è diventata nel tempo un appuntamento fisso per gli ecologisti di tutto il mondo. L’obiettivo è sensibilizzare l’intero pianeta in merito a molteplici sfide, quali: inquinamento di aria, acqua e suolo, distruzione degli ecosistemi, green economy, esaurimento delle risorse non rinnovabili, cambiamenti climatici e tanto altro ancora. Oggi la ricorrenza coinvolge circa 175 paesi, tra cui l’Italia.
Earth day: il primo passo verso una low carbon economy?
Ma com’è nata? Sul finire degli anni ‘60 negli USA la popolazione iniziò a conoscere la parola “ecologia” soprattutto grazie al lavoro dei movimenti universitari, guidati dal senatore Gaylord Nelson: questa maggiore consapevolezza a livello nazionale fu il prodotto di un lavoro su base locale, tra la gente. Nelson riuscì a coinvolgere anche noti esponenti del mondo politico come Robert Kennedy, che nel 1963 attraversò ben 11 Stati del Paese tenendo una serie di conferenze dedicate ai temi ambientali.
L’Earth Day prese definitivamente forma nel 1969 a seguito del disastro ambientale causato dalla fuoriuscita di petrolio dal pozzo della Union Oil a largo di Santa Barbara, in California: il senatore del Wisconsin capì che la questione era ormai di importanza mondiale: “Tutte le persone, a prescindere dall’etnia, dal sesso, dal proprio reddito o provenienza geografica, hanno il diritto ad un ambiente sano, equilibrato e sostenibile”. Il 22 aprile 1970, ispirandosi a questo principio, 20 milioni di cittadini americani parteciparono alla prima grande manifestazione a difesa della Terra: un risultato eccezionale per una mobilitazione che era partita dal basso.
Proprio oggi è in programma la cerimonia per la firma dell’accordo raggiunto, dopo estenuanti trattative, a Cop21, la conferenza sul clima di Parigi conclusasi nel dicembre scorso. Il Segretario Generale dell’Onu Ban Ki-moon ha voluto far coincidere l’evento con l’International Mother Earth Day non a caso; il testo sarà firmato nel Palazzo di Vetro a New York da 160 capi di Stato – non tutti i 195 che hanno siglato l’accordo a Parigi – e ha il compito di traghettare i vari paesi aderenti dall’era dei combustibili fossili a quella delle fonti rinnovabili, ma non per forza.
Infatti, l’accordo non ha nessun vincolo legale, gli obiettivi dichiarati saranno legati alla volontà dei singoli Stati. Dunque la strada è ancora molto lunga, ma l’impegno preso con Cop21 è importante: mantenere il riscaldamento globale sotto la soglia dei due gradi centigradi, e magari raggiungere l’obiettivo di un grado e mezzo.
Cop21 affronta diversi temi: aiuterà gli stati insulari a tutelarsi di fronte all’avanzare dei mari che minacciano le loro coste; darà mezzi finanziari all’Africa, sosterrà l’America Latina nella protezione delle sue foreste e appoggerà i produttori di petrolio nella diversificazione della loro produzione energetica.
Intanto in Italia il voto del 17 aprile è più che mai attuale: i sì non hanno vinto, ma quei 14,5 milioni di votanti non possono essere sottovalutati; il Governo Renzi ha promesso che entro la fine della legislatura il 50% dell’elettricità proverrà da fonti rinnovabili, ma la linea pro-fossile è ancora troppo presente nelle politiche energetiche. Dunque cosa farà l’Italia? Si vuole rimanere inchiodati al vecchio e caro petrolio a tutto vantaggio delle lobby del fossile oppure si vuole sostenere veramente la conversione verso una low carbon economy?
Giulia Perbellini