Un muro di burocrazia esclude gli italiani dai contest internazionali di innovazione. E’ ora di abbatterlo
Un viaggio nello spazio o 196.418 dollari è il primo premio che Hackaday, una delle comunità di hackers, sviluppatori ed ingegneri più attiva al mondo, ha messo in palio a chi, tra i concorrenti al concorso, progetterà il miglior dispositivo hardware.
“You build the future. You claim the Hackaday Prize” è il claim con il quale, nei mesi scorsi, è stato lanciato il concorso.
Una straordinaria iniziativa volta a promuovere l’innovazione e la condivisione di idee, progetti e conoscenza alla quale fa eco, dall’altra parte del Web, un altro concorso, altrettanto, stimolante lanciato dalla Intel: Make it weareble.
E’ un concorso, attraverso il quale, l’azienda leader nel mercato dei microprocessori, intende premiare chi progetterà e svilupperà le migliori tecnologie da indossare.
500 mila dollari come primo premio, 200 mila dollari per il secondo classificato e 100 mila per il terzo oltre ad una pioggia di migliaia di dollari per molti altri partecipanti.
Un’altra bella iniziativa per stimolare creatività e innovazione. Ma non è solo questo ad accumunare le due iniziative.
C’è, purtroppo, un altro denominatore comune tra il concorso lanciato da Hackaday e quello promosso dalla Intel ed è, decisamente, meno lusinghiero, almeno, per il nostro Paese.
I regolamenti di entrambi i concorsi, infatti, escludono espressamente dall’elenco dei soggetti – cittadini ed imprese – che possono parteciparvi, i residenti in Italia.
Il nostro Paese, in compagnia di Quebec, Cuba, Iran, Myanmar, Corea del Nord, Sudan, Siria è tagliato fuori da entrambe le competizioni.
Un fatto solo apparentemente inspiegabile e che, purtroppo, non è giustificato né da una svista né dalla volontà degli organizzatori di escludere dalla partita i “fuoriclasse” creativi ed innovativi di casa nostra.
La motivazione alla base dell’esclusione sta, sfortunatamente, nella disciplina italiana in materia di concorsi ed operazioni a premio, una disciplina che, purtroppo, rende la vita straordinariamente complicata a chi voglia organizzare contest di questo tipo ed invitarvi a partecipare chi risiede nel nostro Paese.
Tanta burocrazia, una montagna di documenti da presentare e, soprattutto, una fideiussione pari al valore complessivo dei premi messi in palio, sono valse a scoraggiare gli organizzatori dei due premi dall’aprire la competizione anche ai residenti nel nostro Paese.
Una storia che ha dell’incredibile e che racconta, una volta di più, quanti e quali danni possa fare la atavica incapacità dei nostri regolatori a confrontarsi con un mercato ormai globale, con l’innovazione e con il futuro.
Ma la storia è tanto più incredibile se, con uno sforzo di memoria – o semplicemente interrogando un motore di ricerca [ndr fino a quando sarà possibile, viste le recenti derive giurisprudenziali in tema di c.d. diritto all’oblio] – si torna indietro di quasi sette anni a quando, nel lontano 2007, addirittura Google, decise di chiudere al nostro Paese un concorso da dieci milioni di dollari, finalizzato a premiare i migliori sviluppatori di app per l’allora neonato Android.
Anche allora, infatti, furono proprio le anacronistiche regole in materia di concorsi ed operazioni a premi vigenti nel nostro Paese, a suggerire a Big G, di tener fuori dalla competizione il “genio italico”.
E’ inaccettabile che, sette anni dopo, nessuno nel nostro Paese, si sia preso la briga di ripensare e riscrivere regole che, evidentemente, continuano a tagliarci fuori da competizioni che oltre a valere milioni di euro, promuovono e stimolano talenti, creatività, innovazione e progresso.
A chi tocca, se non ai regolatori, garantire ad un Paese come il nostro l’opportunità di conquistarsi – giocando alla pari con gli altri – il proprio futuro nella comunità globale?
C’è da augurarsi che questa nuova umiliante figura tricolore, valga a suonare la carica del nuovo Governo, ed ad indurlo a cambiare immediatamente le regole del gioco, uniformandole, semplicemente, a quelle in vigore nella più parte degli altri Paesi della comunità internazionale.
“Not 4 italian people”, è una regola che, soprattutto le nuove generazioni, davvero non meritano di leggere più.
Ma, senza con ciò nulla voler togliere alle colpe dei nostri regolatori, c’è anche da dire che, forse, gli organizzatori delle due competizioni si sono lasciati “spaventare” più del necessario dalle leggi italiane così come, peraltro, già accaduto sette anni fa a Google.
La disciplina italiana, infatti, contiene una deroga alla sua applicabilità per i “concorsi indetti per la produzione di opere letterarie, artistiche o scientifiche, nonché per la presentazione di progetti o studi in ambito commerciale o industriale, nei quali il conferimento del premio all’autore dell’opera prescelta ha carattere di corrispettivo di prestazione d’opera o rappresenta il riconoscimento del merito personale o un titolo d’incoraggiamento nell’interesse della collettività;”.
Guai a negare che si tratti di formulazione ambigua ma guai, al tempo stesso, ad escludere che, con un pizzico di buona volontà interpretativa, entrambi i concorsi in parole potrebbero rientrare nell’eccezione.
Sarebbe un segnale importante se Intel e HackaDay, rivedessero in corsa le loro regole e aprissero i concorsi anche ai residenti nel nostro Paese.
E’ difficile credere che, al ministero dello Sviluppo economico che su queste questioni ha la vigilanza, qualcuno si prenderebbe la responsabilità di contestare una scelta come questa, nel segno del futuro, dell’innovazione e della globalizzazione.