La sinistra ha perso il suo messaggio.
Il crollo dell’Unione Sovietica e la fine del socialismo reale hanno svuotato la “gamma dei mondi possibili”, lasciando una sola opzione sul tappeto: democrazia liberale e mercato.
Le ideologie rimangono un retaggio del Novecento, quando capitale e lavoro si scontravano nelle fabbriche e nelle piazze e i grandi partiti di massa rappresentavano classi sociali ben definite. Partiti che offrivano ai loro militanti, tramite quelle ideologie, gli strumenti per interpretare la realtà e per capire come e dove cambiarla. “Un’interpretazione del passato, una spiegazione del presente e una visione del futuro”, come ha scritto David Easton.
E l’interpretazione, la spiegazione e la visione della sinistra erano forti e avevano affascinato il mondo. Parlavano di una storia dell’uomo basata sullo sfruttamento di una maggioranza di oppressi da parte di una minoranza di oppressori. Di una lotta di classe in cui gli oppressi prendevano coscienza della loro condizione e si univano per non essere più sfruttati. Di una società più giusta in cui il desiderio di arricchirsi di ciascuno non avrebbe causato la miseria e la frustrazione degli altri.
Di questo messaggio e di questa visione ognuno è libero di dare il giudizio storico, etico o ideologico che preferisce. Ma resta innegabile l’importanza che la sinistra ha avuto nella storia del progresso dell’umanità. Figlie dell’industrializzazione e della società di massa,la teoria e la pratica socialista e comunista hanno contribuito a plasmare la nostra società, la nostra politica e la nostra economia per come le conosciamo oggi, accompagnando una larga fetta dell’umanità dalle campagne alle fabbriche.
La sinistra è stata cultura popolare, valori condivisi, simboli, appartenenza, militanza e solidarietà.
Oggi però la sinistra non riesce più a comunicare un messaggio.
Nell’era post-ideologica, d’altronde, un messaggio in quanto tale non è necessario. Un messaggio forte, identitario, che contenga un’interpretazione del mondo e una visione di una società migliore è un’anacronistica scomodità. Perché per definire una società “ideale” occorre una bussola, servono dei criteri, bisogna che si abbia una visione del mondo e una teoria della giustizia. Ingredienti non necessari, non previsti, non graditi dalla politica odierna, perché divisivi e conflittuali. Troppo “di parte”, troppo faziosi. E le “parti” (da cui i “partiti”, in fin dei conti) non sono necessarie per l’ordinaria amministrazione. I principi del buon governo, tanto in voga oggi, prevedono lacompartecipazione degli stakeholder ai processi decisionali: i portatori di interessi, sì, ma di interessi atomizzati, disaggregati. L’idea di un bene comune, di un “interesse collettivo” è definitivamente esclusa.
Ma la sinistra muore in questo contesto. La sinistra è messaggio, è visione, è condivisione dell’uno e dell’altro. Dire che le ideologie sono superate è da perfetti conservatori! Ed è quindi, paradossalmente, un’affermazione ideologica. La disaggregazione (o disgregazione) degli interessi collettivi è la chiave per il mantenimento dello status quo. Divide et impera. Nessun attore, nessuna categoria ha da sola la forza per proporre e realizzare un cambiamento che non sia ultra-settoriale, marginale, incrementale. E i cambiamenti ultra-settoriali, marginali e incrementali non appassionano e non interessano. La politica diventa un affare tecnico, sempre più riservato agli addetti ai lavori. Distaccato dalla “gente comune”. Gli interessi particolari prevalgono su quelli collettivi e generali, che hanno più bisogno di informazione, di promozione e di mobilitazione, per essere tutelati.
La sinistra sta assecondando questo processo invece di combatterlo.
Il tramonto delle utopie collettiviste, la “fine della storia” l’hanno lasciata orfana di quella cornice simbolica che aveva creato appartenenza e identità per più di un secolo. In mancanza di un messaggio, del suo messaggio, la sinistra ha cercato di sdoganarsi e ritagliarsi un posticino nel consiglio di amministrazione delle società odierne, inseguendo il centro e ritrattando tutte le sue tesi storiche. Intendiamoci: buona parte di quelle tesi andavano riviste o abbandonate, sicuramente adattate al mondo che cambia. Ma restando nell’alveo di una tradizione valoriale, di un’ideologia per l’appunto. Per abbandonare quella visione, dichiarata fallimentare dalla Storia, la sinistra ha abbandonato qualsiasi visione, sforzandosi di adottare i codici, i linguaggi e i modi di chi non ha mai avuto bisogno di adattarsi al cambiamento: i conservatori.
Fino a confondersi con loro.
La sinistra si è persa.
Si è persa, e non sa tornare.