Primarie Usa 2016, il ritiro di Cruz spiana la strada a Trump
Primarie Usa 2016, il ritiro di Cruz spiana la strada a Trump
In molti avevano scommesso che l’Indiana avrebbe rappresentato il punto di svolta di queste primarie americane. Effettivamente, così è stato. Dopo l’ennesima sconfitta, Ted Cruz – il candidato dell’ala ultraconservatrice del partito – ha sospeso stanotte la sua campagna elettorale, spegnendo di fatto ogni illusione sulla possibilità di un candidato repubblicano diverso da Donald Trump.
Primarie Usa 2016, Repubblicani: Trump spedito verso la nomination
Sullo stato dell’Indiana si concentravano tutte le speranze della vasta coalizione antitrumpiana, al punto che Ted Cruz e John Kasich avevano raggiunto nelle ultime settimane un accordo di “desistenza”, in base al quale il candidato più debole in un determinato stato si sarebbe impegnato ad appoggiare l’altro, e viceversa. Tutto pur di fermare Donald Trump. E invece è stato ancora una volta il tycoon a trionfare, assicurandosi – grazie al 53% dei voti – tutti i 51 delegati che il paese metteva in palio. Il misero – sebbene previsto – 36% ottenuto in Indiana ha indotto Cruz (che già aveva designato Carly Fiorina come sua vicepresidente) a ritirarsi dalla corsa. Il senatore del Texas è arrivato a tale decisione numeri alla mano, conscio dell’impossibilità di arrivare a una convention contestata, dove le sue chance di spuntarla sarebbero incrementate notevolmente). Ora a rimanere in gara contro Trump c’è soltanto John Kasich, ex governatore dell’Ohio, il quale ingaggerà una battaglia di testimonianza finalizzata a dimostrare che all’interno del partito ancora (r)esiste un’area moderata non intenzionata ad arrendersi alla deriva populista incarnata dalla candidatura di Trump.
Eppure un dato particolarmente significativo emerso nelle ultime settimane è la decisa sterzata di Donald Trump sul piano del politically correct, termine dal significato a lui ignoto fino a poco tempo fa. A giochi fatti, è opportuno cambiare radicalmente la strategia comunicativa, dal momento che una chiara connotazione di outsider indisciplinato e irriverente non è certo la più adatta – usando un eufemismo – per chi ambisce a sedere nello studio ovale, soprattutto se parte da un netto svantaggio. Non aiuta certo l’assenza di una “connessione sentimentale” di Trump con l’elettorato repubblicano, e non è detto che la tendenza si inverta nei prossimi mesi di campagna elettorale La dimostrazione concreta del nuovo corso trumpiano, comunque, si sostanzia nelle parole spese dal miliardario newyorkese verso Cruz, definito “un grande rivale. È una persona forte e molto intelligente, avrà un grande futuro”. Un gesto di rispetto che il senatore texano probabilmente non si sarebbe mai aspettato dalla bocca di chi lo aveva definito “il più grande bugiardo che io conosca”. I miracoli della politica.
Primarie Usa 2016, Democratici: Sanders candidato a oltranza
Sul fronte opposto, Bernie Sanders non si arrende. L’inaspettata vittoria di questa notte in Indiana (52,5%) conferma che l’intenzione è quella di andare avanti ad oltranza, fino a quando la matematica non avrà definitivamente sancito la sconfitta. Il risultato dell’Indiana conferma ancora una volta la netta frattura territoriale che si è consumata in queste elezioni: Hillary Clinton vincente negli Stati del sud e della costa atlantica, Sanders più forte nelle aree settentrionali e nell’entroterra. E poiché mancano al’appello ancora diversi Stati appartenenti a zone che finora hanno premiato il senatore “socialista”, è prevedibile che la corsa a due nel Partito democratico si prolunghi fino al 7 giugno, quando l’ultimo Supermartedì (nel quale andrà al voto anche la California, che esprime ben 546 delegati) sancirà con ogni probabilità il raggiungimento del quorum (2.383 delegati) per Hillary Clinton.
Ma se Sanders insegue a distanza ormai irraggiungibile, che senso ha rimanere ancora in gara? Lo scopo del senatore socialdemocratico del Vermont è abbastanza chiaro: conquistare il maggior numero di delegati possibile. Una strategia finalizzata a ritagliarsi uno spazio sempre più ampio all’interno del Partito, grazie al quale poter “trattare” da una posizione sufficientemente influente. Il fatto che, tra i possibili nomi in campo per la vicepresidenza della Clinton, risultino personalità come Sherrod Brown ed Elizabeth Warren rivela un chiaro intento , da parte dell’establishment del partito, di strizzare l’occhio a un’area liberal che si sentirebbe orfana di un punto di riferimento nel momento in cui lo “zio Bernie” – ritenuto troppo anziano per fare il vicepresidente – sarà costretto a deporre le armi.