E la crisi greca continua, come un’infinita Odissea
Forse qualcuno aveva pensato che con il cedimento di Tsipras lo scorso luglio nonostante il referendum vinto, con l’accettazione delle condizioni poste dai creditori, l’epopea greca fosse finita.
Non è così. Sia perchè poi effettivamente gli impegni firmati nei meeting internazionali dovevano essere implementati con un’approvazione da parte del Parlamento, sia perchè l’economia greca è scivolata in un’altra recessione
Crisi greca: approvata la riduzione delle pensioni minime a 384€
Il Parlamento, appunto. Non era scontato che dopo gli accordi dell’estate scorsa la politica greca, così instabile, incoerente e a giudizio di molti inaffidabile, in un Parllamento dominato da partiti populisti come Syriza di Tsipras e ANEL di centrodestra, fondati su una piattaforma di protesta contro l’economia di mercato e le regole europee, avrebbe permesso l’effettiva approvazione delle misure concordate. E’ avvenuto con 9 mesi di ritardo in effetti.
Anche perchè non si tratta di mini-manovre, anzi.
5,4 miliardi di euro di tagli, per capirci, viste le proporzioni rispetto al PIL italiano, sarebbe come se nel nostro Paese il Parlamento approvasse tagli per 49 miliardi. Se pensiamo come il governo italiano non ha potuto, o meglio voluto, tagliare 10 miliardi come promesso, si capisce bene il peso e il significato di una tale manovra.
Tra i provvedimenti fondamentali vi è la riforma delle pensioni, uno dei punti più discussi e più controversi già nel luglio 2015: da uno dei sistemi più generosi d’Europa in proporzione al reddito medio, con pensioni minime ben superiori a quelle italiane, sui 700€, ora il governo ha deciso un taglio di queste ultime a 384€, ma questo è solo il più importante dei provvedimenti presi, gli altri riguardano tagli alla sanità e ai servizi pubblici, e un piano di privatizzazioni.
Un altro punto importantissimo è l’impegno a realizzare un avanzo primario (la differenza tra entrate e uscite senza gli interessi sul debito) del 3,5% almeno, indispensabile per vedere in futuro il debito scendere
Tutto ciò per ricevere gli 86 miliardi dagli stessi creditori che hanno garantito altri due bail-out, i salvataggi del 2010 e 2012, che a poco sono serviti, se non a evitare un default incontrollato e l’uscita dall’euro (il che comunque poco non è a ben vedere)
Infatti dall’inizio della crisi la Grecia il PIL è caduto di circa 25 punti, e dopo il piccolo rimbalzo dello 0,7% nel 2015, nel 2015 c’è stato un calo dello 0,2%, concentrato in particolare nell’ultimo trimestre, che ha visto un PIL del 2% inferiore a quello di un anno prima. Una storia molto diversa dalla ripresa veloce e decisa della Spagna
Il debito non ha potuto che continuare ad aumentare, arrivando al 180%
La disoccupazione, seppure in leggero calo, rimane intorno al 25% e naturalmente si concentra nella fascia più giovane della popolazione, dove supera anche il 50%
Questo il panorama piuttosto desolante
Crisi greca, la mancanza di fiducia alla base di tutto
Gli 86 miliardi di euro, sommati agli altri già precedentemente concessi, sono il più grande aiuto dato ad un singolo Paese nella storia, anche se, lo sappiamo, gran parte di questo denaro andrà nel rimborso degli interessi sui debiti pregressi, interessi però artificialmente agevolati, molto più bassi di quelli, altissimi, che il mercato richiederebbe.
La domanda di molti è, ma perchè non negare invece questi miliardi di euro, che tra l’altro generano proteste in Germania e nel resto del Nord Europa che dell’affidabilità dei greci non si fida, e non chiedere tali sacrifici alla Grecia, che ingenerano proteste, sfiducia,e peggiorano la congiuntura economica?
O parallelamente, perchè non dare molto di più, risollevando la Grecia definitivamente dalla recessione con una massiccia operazione keynesiana, senza richiesta di sacrifici e facendo in modo che la Grecia riprenda a crescere con i consumi come accadeva prima del 2008?
Si è scelta la via di mezzo più difficile.
Ma le ragioni ci sono.
Un fallimento della Grecia porterebbe alla completa perdita di fiducia della finanza internazionale nell’euro, già messo in pericolo dal referendum britannico, già visto con sospetto da parte del mondo del business anglosassone, la cui voce è nei circoli che fanno riferimento al Financial Times e a Munchau, che non perdono occasione per criticare da lato liberista e thatcheriano la moneta unica.
Molto concretamente poi le banche, già sottoposte a pressione dalle richieste di garanzie comuni da parte dell’Italia, in crisi per i non performing loans, avrebbero un tracollo se i crediti con la Grecia rimasti in pancia anche dopo che gli Stati hanno preso la responsabilità dei prestiti al Paese ellenico, non dovessero valere più nulla, e del resto a valere molto poco sarebbero anche i crediti con altri Paesi molto indebitati, Italia in testa, che di fatto si troverebbe in un rischio default molto più grave di quello del 2011
Sono cose già dette e ridette.
D’altro lato un aiuto incondizionato alla Grecia porterebbe al ben noto moral hazard, ovvero un incentivo alla mancanza di responsabilità della politica greca, che ha già dimostrato di saper fare truffe bipartisan ai danni della comunità internazionale (e in parte con la complicità di questa) truccando i conti.
Non vi sarebbe nessun incentivo a rendere più competitiva l’economia greca, neanche con misure più blande di quelle attuali, nel cambiare un modello basato su assistenzialismo, pensioni, assunzioni pubbliche, corruzione, evasione fiscale.
La possibilità di intraprendere tutte le misure economiche desiderate senza dover soffrire le conseguenze di un debito e di un deficit aumentato, che tanto sarebbero altri Paesi a pagare, porterebbe la Grecia a ulteriori picchi di spesa, anche con crescita del PIL, e di insolvenza. E sarebbe per il resto d’Europa un caso di taxation without representation, ovvero costrizione ad una spesa senza avere voce in capitolo sui contenuti di questa, quello che ora teme la Germania più di tutti, ma che colpirebbe tutti i Paesi.
Tra le obiezioni di ultra-liberisti o populisti come l’Afd tedesco che vogliono lasciare la Grecia al proprio destino e il populismo anti-capitalista che vorrebbe un aiuto incondizionato al Paese ellenico, la strada è strettissima, e sia Tsipras che Schauble seppur non si piacciano sono costretti a percorrerla fianco a fianco.