Europa: la diffidenza degli italiani nei confronti dell’Ue è in crescita, il trend si è andato sempre più consolidando a partire dall’ultima “Grande Recessione”; se nel 1994 la fiducia nell’Ue si attestava intorno al 70% e ancora nel 2005 si poteva sondare una percentuale del 64% al riguardo, nel 2008 il livello era sceso fino al 60%, nel 2010 al 57%, nel 2011 addirittura al 51%. Percentuale bassa ma che non a niente a che vedere con l’odierno 27%, d’altra parte, come ha notato Renato Mennheimer sul Giornale, la parola “Europa”, progressivamente, è diventata sinonimo di burocrazia e “rigore”.
Europa: il 44% degli italiani vorrebbe uscire secondo Eumetra
Con l’approssimarsi del referendum sulla Brexit e, dunque, della concreta possibilità dell’uscita della Gran Bretagna dalla Comunità dei 28, Eumetra ha voluto sondare l’opinione degli italiani sull’argomento. Più precisamente alla domanda “vorrebbe che un referendum sullo stare o meno nell’Unione europea venisse indetto anche in Italia?” ben il 44% degli intervistati ha risposto affermativamente. Una percentuale significativa (ancor di più considerando che il 49% dei favorevoli ha meno di 25 anni) anche se il 57% del campione esclude nettamente una tale possibilità.
Ma se un referendum del genere si svolgesse sul serio come voterebbero gli italiani? Il 62% si pronuncerebbe a favore della permanenza del paese nell’Ue, tuttavia, un cittadino su 4 vorrebbe l’Italia fuori dall’Europa “subito” (una percentuale che si vuole aggravata da un tasso di indecisione al 12%).
Analizzando nello specifico i dati forniti dalla rilevazione di Eumetra, si può notare che sono maggiormente favorevoli all’uscita dall’Europa coloro che auspicano una consultazione «all’inglese» anche in Italia. L’Euroscetticismo prevale, soprattutto, tra i più giovani (il 36% voterebbe “no” alla permanenza dell’Italia nell’Ue) e tra chi possiede un titolo di studio non elevato (i laureati sono in maggioranza per il “sì”). Insomma, l’ipotesi Brexit non dispiace a chi è stato maggiormente colpito dalla Crisi (e svolge lavori poco remunerativi) e dalle misure d’austerità (con conseguenti ripercussioni in termini di disoccupazione giovanile), anzi, dovrebbe essere riproposta anche in Italia.