Matteo Renzi ha provato in ogni modo a svuotare di una valenza politica nazionale il responso delle amministrative. In anticipo, lanciando anzitempo la campagna referendaria per marcare la distanza tra impegno del governo e territori. Ci ha riprovato anche lunedì, a responso emesso: sostenendo come questo non abbia alcuna valenza politica nazionale, ma esclusivamente locale o perfino casuale. Ovviamente è lui il primo a non crederci, tanto è evidente e naturale il contrario.
Aprendo il sipario su scenari diversissimi tra loro, le amministrative hanno invece dipinto tante tessere utili a comporre un mosaico che disegnerà la geografia partitica con cui si presenterà l’Italia alle politiche del 2018.
Alcune certezze: il bipolarismo dato per morto con le politiche del 2013 è oggi anche sepolto. Non è difatti locale ma nazionale il consolidamento a cinque stelle, come non è locale ma nazionale il salasso di voti del Pd. O ancora, la frammentazione di un centrodestra dilaniato dall’ambizione tripartitica alla leadership che a Roma ha trovato il suo culmine.
Amministrative, Berlusconi ancora essenziale
È ormai evidente che Giorgia Meloni non abbia mai avuto intenzione di correre davvero per vincere: lo dimostrano i toni entusiastici con cui commenta il post voto, che comunque la ritrae terza e fuori dal ballottaggio. Incapace di ricucirsi la coalizione addosso in casa sua, ha corso per accendere i riflettori su di sè e abbassarli sul vecchio e stanco competitor interno. Chiuso il lungo balletto su Bertolaso con le idi di Marzo, che hanno pugnalato il vecchio leader e lanciato la propria candidatura, ha pensato di scoprire nella convergenza berlusconiana su Marchini il miglior regalo. In realtà, conferma l’essenzialità dei pochi voti rimasti a Berlusconi anche dove lei è più forte in Italia, a Roma, a fronte dei numeri marginali del suo partito nel resto del paese.
La Lega di Salvini arranca ovunque e non passa il rubicone, restando confinata al nord e dando l’impressione di aver esaurito la spinta che l’anno scorso le regalava un’autentica sbornia elettorale. A Roma, dove Salvini ha speso la maggior parte della sua campagna elettorale, non esiste. A Milano è superato nelle preferenze da Maria Stella Gelmini, col suo partito doppiato da Forza Italia.
Il dato vero è che Silvio Berlusconi ribadisce la propria essenzialità nella coalizione. Ormai ai margini della politica nazionale, con le amministrative si ripropone centrale nella sua area politica. A Milano con un clamoroso 20% e ancor di più, paradossalmente, a Roma. Le amministrative ribadiscono come la destra a tinte lepeniste non può vantare, da sola, alcuna speranza di governo: neppure dove è più forte o dove schiera un leader, come appunto a Roma con Giorgia Meloni.
Vero è che Forza Italia come partito non esiste più: non ha sedi, non si sa chi siano i coordinatori locali, non ha organi. Vanta tanti generali coi relativi piccoli eserciti locali, che si pesano e si misurano in attesa di scoprire che ne sarà del partito per il 2018.
Intanto Berlusconi, una vita politica da Crono a mangiare le teste dei suoi figli, ha in un colpo solo divorato a Roma il futuro politico dell’ingenuo Alfio Marchini e ribadito al duo Salvini-Meloni che senza i suoi anche pochi voti non vanno da nessuna parte. Tagliando, di netto, ogni loro tentativo attuale di scalata alla leadership del centrodestra.
Amministrative, Pd sempre più spostato al centro
Per il resto si rafforza il quadro tripartitico, con un Pd sempre più impoverito e spostato al centro, dove diversi soggetti nel prossimo anno si contenderanno elettorato e posizionamento. A partire dall’ala di Verdini, che non spicca il volo a a Napoli e Cosenza dove si presenta per la prima volta nel territorio, ma rafforzerà presto e ancora la sua presenza parlamentare con la fusione dei gruppi con Scelta Civica. L’obiettivo è superare il peso di Area Popolare e di Angelino Alfano, che ancora non hanno deciso cosa fare da grandi e in ogni città d’Italia scelgono gli alleati solo e soltanto in base a chi nutra maggiori possibilità di vittoria: ogni tanto ci azzeccano, ogni tanto no.
Comincia poi a sgomitare sempre più convintamente una forza di sinistra antagonista del Pd, che si stabilizzerà tra questo autunno e il prossimo: dopo il referendum e, soprattutto, dopo il congresso del Pd. Al congresso si misurerà la minoranza interna che deciderà, al termine, le misure dell’esodo. E lì ritroverà i vari Fassina, Civati, Cofferati e un nuovo, aspirante leader napoletano: Luigi De Magistris.
In un panorama confuso e in evoluzione continua, il primo passo per le politiche è stato mosso
Giorgio Borrini