Camera e Senato hanno approvato ad aprile in via definitiva la riforma della nostra Carta Costituzionale che ad ottobre passerà dal vaglio dei cittadini con il referendum, così come previsto dall’Art. 138.
Tale referendum non richiede il quorum: vincerà il “sì” o il “no” indipendentemente dal numero di persone che si recheranno alle urne.
Storicamente quello di ottobre sarà il terzo referendum costituzionale avvenuto nel nostro Paese in quanto il primo si tenne nel 2001 e confermò le modifiche fatte al Titolo V della Costituzione, che regola le autonomie locali ( tra le altre cose, l’attuale riforma, in larga parte annulla proprio quelle modifiche). Il secondo, invece, si tenne nel 2006 e portò alla bocciatura della riforma costituzionale promossa dal governo Berlusconi, la cosiddetta “devolution”. Prima del 2001 tutte le modifiche alla Costituzione sono state ottenute con i voti dei due terzi delle Camere e quindi non avevano avuto bisogno di essere confermate con un referendum.
Ma possiamo a parlare del Ddl Boschi. Il cuore di questa riforma è il superamento del bicameralismo perfetto: Camera e Senato hanno attualmente gli stessi poteri e le stesse funzioni.
Senato, il contesto storico
Tale sistema è stato voluto dai nostri Padri Costituenti che, durante i lavori di scrittura della Carta Costituzionale, scelsero di “assecondare” il contesto storico nel quale si trovava l’Italia in quel momento, per evitare ad ogni costo il ripetersi degli errori del passato. Per tale ragione, di fronte ad un Paese distrutto dalla Seconda Guerra Mondiale e dalla dittatura fascista e con una ancora neonata democrazia, i costituenti scelsero, dopo accesi dibattiti, la forma del bicameralismo paritario come forma più consona per assicurare la stabilità del sistema politico ed istituzionale dell’Italia di allora.
Con l’attuale riforma, il nuovo Senato sarà composto da 100 senatori (contro i 315 attuali) così ripartiti:
- 74 saranno votati da parte dei consiglieri regionali e delle province autonome, tra i consiglieri stessi, ne verranno scelti almeno due per regione, in proporzione alla popolazione e ai voti ottenuti dai rispettivi partiti;
- 21 saranno votati, sempre dai consiglieri regionali e delle province autonome, trai i sindaci, ne verrà scelto uno per regione, escluso il Trentino-Alto Adige che ne nominerà due;
- 5 saranno nominati dal Presidente della Repubblica e resteranno in carica per 7 anni. Non esisteranno più i senatori a vita, tale carica spetterà solo al Presidente della Repubblica, una volta terminato il suo mandato e ai sei senatori a vita attuali (Carlo Azeglio Ciampi, Giorgio Napolitano, Mario Monti, Carlo Rubbia, Renzo Piano ed Elena Cattaneo) che restano in carica ma non saranno sostituiti.
Nessuno tra i nuovi senatori avrà un’indennità in più per svolgere questo ruolo e resteranno in carica per la durata del loro mandato di amministratori locali. Questo creerà,dunque, la possibilità, che durante la stessa legislatura, la maggioranza al Senato potrà cambiare aspetto e colore politico.
Ma che compiti avrà questo nuovo Senato?
Il nuovo Senato avrà come funzione principale quella di raccordo tra lo Stato, le Regioni e i Comuni, diventando così l’organo rappresentativo delle autonomie locali.
Manterrà, però, una sua competenza legislativa, simile a quella attuale, solo in caso di:
- Riforme costituzionali;
- per le leggi sulla tutela delle minoranze linguistiche;
- per le leggi sui referendum popolari;
- per le leggi che determinano l’ordinamento, la legislazione elettorale, gli organi di governo, le funzioni fondamentali dei Comuni e delle Città metropolitane e le disposizioni di principio sulle forme associative dei Comuni.
In tutti gli altri casi, la Camera legifererà in maniera autonoma: per approvare una legge, quindi, non ci sarà più bisogno di un voto favorevole da parte di entrambi i rami del Parlamento ma basterà il solo voto della Camera. Sparirà quindi la cosiddetta navetta parlamentare, un unicum nel panorama giuridico europeo.
Un terzo dei componenti del Senato potrà (non dovrà) chiedere delle modifiche alle leggi, già approvate. Ma la Camera non sarà obbligata ad accettarne gli emendamenti. Inoltre potrà farlo in tempi strettissimi: entro 30 giorni dall’ approvazione, il Senato potrà presentare i suoi emendamenti a seguito dei quali la Camera deciderà, entro 20 giorni, se accogliere o meno i suggerimenti dei senatori.
Più complessa è la situazione per quanto riguarda le leggi che concernono i poteri delle Regioni e degli enti locali, sui quali il Senato conserva maggiori poteri. In questo caso ,infatti, per respingere le modifiche la Camera dovrà esprimersi con la maggioranza assoluta dei suoi componenti.
Il Senato, inoltre, potrà presentare eventuali proposte di modifica anche sulla legge di bilancio, che devono essere consegnate entro 15 giorni, anche se l’ultima parola spetta sempre alla Camera.
Al Senato, tra le altre competenze rimaste, ci sono anche la partecipazione all’ elezione di due giudici costituzionali, del presidente della Repubblica e dei membri laici del Consiglio Superiore della Magistratura.
Con queste modifiche, la Camera dei Deputati diventa l’unico organo eletto direttamente dai cittadini a suffragio universale diretto e l’unica assemblea che avrà pieno esercizio della funzione legislativa e potrà accordare la fiducia al Governo.
A seguito di ciò, per una lettura più attenta e informata in vista anche del referendum di ottobre, è indispensabile capire in che modo entra in gioco la riforma elettorale in questi delicati nuovi equilibri istituzionali.
Cosa prevede l’Italicum?
La nuova legge elettorale prevede un sistema proporzionale a doppio turno a correzione maggioritaria, con premio di maggioranza, soglia di sbarramento e 100 collegi plurinominali con capilista “bloccati”.
Essa disciplina l’elezione della sola Camera dei Deputati ed entrerà in vigore dal primo luglio.
È importante sottolineare che, tra le norme di questa Riforma costituzionale, è stato introdotto il ricorso preventivo sulle leggi elettorali da parte della Corte Costituzionale su richiesta di un quarto dei componenti della Camera. Anche l’Italicum dunque potrebbe finire all’esame della Corte.
In ogni caso, fino al 1º luglio 2016 continueranno ad applicarsi all’elezione di Camera e Senato le disposizioni del Consultellum (ossia il Porcellum così come modificato dalla sentenza 1/2014 della Corte costituzionale); dal 1º luglio 2016, si applicheranno le disposizioni dell’Italicum per l’elezione della Camera e, fino all’emanazione di nuove norme, le disposizioni del Consultellum per l’elezione del Senato.
In altre parole, l’Italicum prevede che il premio di maggioranza, pari a 340 seggi (54%), sia assegnato alla lista (non più alla coalizione) che è in grado di raggiungere il 40% dei voti (non più il 37) al primo turno. Se nessuna lista raggiunge il 40% di voti, si va al ballottaggio tra le due liste più votate, senza possibilità di apparentamento tra liste. Il vincitore ottiene 340 seggi (non più 321). I277 seggi restanti (si escludono infatti quello della Valle d’Aosta e i 12 della circoscrizione Estero) vengono ripartiti con metodo proporzionale, secondo il Metodo Hare-Niemeyer, fra le altre liste che superano lo sbarramento unico per tutti al 3%. In Trentino-Alto Adige e in Valle d’Aosta l’assegnazione dei loro seggi avviene sulla base di nove collegi uninominali (rispettivamente, otto collegi e un collegio) e pertanto non è applicato il metodo proporzionale.
Il territorio nazionale verrà suddiviso in 100 collegi plurinominali, che verranno disegnati con un apposito decreto legislativo del Governo entro due mesi dall’entrata in vigore della legge. In ogni collegio, per ciascun partito, ci sarà un capolista “bloccato”. I capilista potranno candidarsi in un massimo di 10 collegi. Gli elettori dovranno esprimere due preferenze “di genere” (obbligatoriamente l’una di sesso diverso dall’altra, pena la nullità della seconda preferenza) da scegliere tra le liste di candidati presentate.
L’Italicum avendo come obiettivo quello di garantire la governabilità, attraverso il premio di maggioranza, per la lista che vince le elezioni e di diminuire, di conseguenza, il potere contrattuale delle liste più piccole abolendo in toto il principio delle coalizioni. Questo permetterebbe sulla carta di dare alla Camera maggiore possibilità di poter esercitare in pieno, per tutta la durata del suo mandato, la sua funzione di unico organo effettivamente legislativo e ,a sua volta, le attribuisce maggiore forza politica per respingere con più facilità le proposte di modifica delle leggi da parte del Senato, qualora servissero solo per fare ostruzionismo politico.
Anna Calò su Comunicatore Pubblico (Fb: Comunicatore Pubblico)