Brexit: che fine farà l’inglese?
Mentre si continua a discutere dell’ultimo sondaggio dell’Indipendent, secondo cui il fronte del “leave” sarebbe in vantaggio di 10 punti di percentuale rispetto a quello dei pro “remain”, alcuni esperti si sono chiesti se l’inglese rimarrà la principale lingua europea, almeno per quanto riguarda le relazioni diplomatico-politiche, in caso di uscita del Regno Unito dall’Ue.
Brexit: che fine farà l’inglese?
Solo in 2 nazioni dell’Ue si parla “inglese”, il Regno Unito e la Repubblica d’Irlanda: se la prima, per demografia e Pil, ha un certo peso nell’Unione, la seconda, semplicemente, no. Dunque, in caso di Brexit, si verificherebbe una situazione quantomeno “bizzarra”, si analizza dall’Economist, perché “un’unione di nazioni per un totale di 450 milioni di abitanti (senza contare i cittadini britannici, nda) si ritroverebbe dominata da una lingua parlata ufficialmente dalla repubblica irlandese (la cui “prima lingua ufficiale” – come recita l’articolo 8 della Costituzione repubblicana – è il Gaelico, nda) – 4,6 milioni di abitanti – e da Malta (la lingua ufficiale è il “maltese”, nda) che ha 420 mila abitanti”.
Pronta a tornare in auge tra gli eurocrati la lingua di Molière e Hugo quindi? Difficilmente accadrà, secondo Quartz. Al massimo vedremo svilupparsi ancor di più l’euro-inglese, definito da Rivista Studio come «una specie di ibrido dei burocrati, che preserva lo spelling e le regole dell’inglese britannico ma attribuisce significati diversi ad alcune parole: per esempio la parola “delay” (ritardo, in inglese britannico), nei documenti della Ue (cioè in euro-inglese) significa “deadline”», che alla fine potrebbe assumere una forma distante dall’inglese britannico diventando un creolo a sé stante.