La legge elettorale Italicum, tra logica proporzionale e meccanismi distorsivi
L’Italicum è una legge elettorale di natura proporzionale, nonostante i forti effetti disproporzionali. Qualche accorgimento ulteriore avrebbe garantito all’Italia una legge elettorale all’altezza delle esigenze istituzionali e di quelle di rappresentanza.
La nuova legge elettorale, ribattezzata Italicum dai suoi autori e Porcellinum da alcuni detrattori, ha da sùbito suscitato lunghi dibattiti tra esperti e politici, spesso – per la verità – senza cognizione di causa. Tale controversia non ha riguardato soltanto i cosiddetti effetti di «distorsione» della rappresentanza, evidentemente ricorrenti quando si parla di sistemi elettorali, ma anche e soprattutto la natura stessa dell’Italicum, vale a dire il suo modus operandi: proporzionale, maggioritario o misto (si vedano rispettivamente, per ciascuna di queste tesi, Pasquino, Agosta e Panebianco).
La natura dei sistemi elettorali e la differenza tra maggioritario e proporzionale
Una disputa sul genus, sulla classificazione del sistema elettorale è, per bocca di molti, del tutto superficiale. Sarà, ma procedere al contrario, e cioè dagli effetti prodotti indietro alla logica di ripartizione dei seggi, non mi pare abbia aiutato a risolvere il problema. Al contrario: conoscere (e spiegare) la natura del sistema elettorale consente di comprenderne i meccanismi di costruzione della maggioranza e gli effetti sulla rappresentanza. Ma andiamo con ordine.
Anzitutto, occorre distinguere concettualmente a) la logica di ripartizione dei seggi (a partire dalle preferenze dell’elettore) e b) il tipo, o modello, di sistema elettorale. La prima governa e determina il secondo. Vediamo come.
Esistono, com’è noto, due ordini di logica in base a cui i seggi sono ripartiti nella competizione elettorale, ed in particolare a) la logica maggioritaria e b) la logica proporzionale. Oltre ad alcune differenze di tipo strutturale – la logica maggioritaria dà il meglio di sé in collegi uninominali, quella proporzionale necessita di circoscrizioni plurinominali; nei collegi uninominali la preferenza dell’elettore va al candidato, in quelli plurinominali al partito –, ciò che ci preme rilevare è che la logica maggioritaria produce, eo ipso, effetti disproporzionali, mentre la logica proporzionale, per sua natura, ripartisce i seggi in proporzione, appunto, alle preferenze dell’elettore.
Quanto detto non significa affatto che la logica maggioritaria non tenga conto delle preferenze elettorali; semplicementele manipola, in modo che in ogni circoscrizione sia rappresentato soltanto il candidato che ha ottenuto più preferenze degli altri (e questo vale sia per il maggioritario a turno unico o first past the post, sia per quello a doppio turno nelle sue varianti majority-plurality e runoff majority).
I due ordini di logica di ripartizione appena visti danno vita a tre modelli di sistema elettorale: a) sistemi maggioritari; b) sistemi proporzionali; c) sistemi misti, e cioè sistemi che realizzano una commistione tra logica maggioritaria e logica proporzionale (è il caso del Mattarellum). Ma il punto a cui ci preme arrivare è un altro: che i sistemi proporzionali possono essere «corretti» da meccanismi manipolativi – essenzialmente, soglie di sbarramento e premio di maggioranza in seggi, ma anche piccole circoscrizioni elettorali – che rendono tanto «impuro» il proporzionale quanto più ne deproporzionalizzano gli effetti. Dunque, anche i sistemi proporzionali, quando impuri, producono effetti disproporzionali; ma la logica alla base del sistema rimane la stessa, non diventa «maggioritaria» per il solo fatto di generare disproporzione.
Abbiamo detto, ma è bene ripetere, che la logica maggioritaria prevede che ogni collegio sia rappresentato dal solo candidato che ottiene più preferenze rispetto agli altri. Per contro, un sistema proporzionale impuro esclude con soglie e premia in seggi in base ad un computo del tutto proporzionale delle preferenze espresse dagli elettori in ogni circoscrizione.
L’Italicum non è una legge maggioritaria: è un proporzionale con effetti disproporzionali
Veniamo, ora, all’Italicum. In conformità con quanto premesso, la nuova legge elettorale, fortemente voluta da Renzi e formulata in collaborazione col professor D’Alimonte, rappresenta un caso di proporzionale a doppio turno di lista, con effetti fortemente disproporzionali. Gli effetti disproporzionali sono prodotti dalle (basse: 3%) soglie di sbarramento e dal (grande, anomalo) premio di maggioranza che, se attribuito al primo turno, finirebbe per trasformare una maggioranza relativa di voti (basta il 40%) in maggioranza assoluta di seggi.
Dunque, sebbene rischi di generare conseguenze pesantemente disproporzionali, l’Italicum – che pure è stato definito «maggioritario», qualche giorno fa, dallo stesso ministro per le riforme costituzionali, Maria Elena Boschi – è un sistema proporzionale: nessuna porzione di seggi viene infatti ripartita secondo logica maggioritaria dal momento che in nessuna circoscrizione vince soltanto chi arriva primo.
Questo significa che è tecnicamente sbagliato anche parlare di sistema «misto» (come invece fa Angelo Panebianco, L’Italicum è il minore dei mali): non c’è nessuna «combinazione di elementi proporzionali e maggioritari», ma una logica proporzionale accompagnata da meccanismi disproporzionali che fanno dell’Italicum un proporzionale «impuro». Il troppo vituperato Mattarellum – quello sì, un sistema «misto» – attribuiva una porzione di seggi secondo logica maggioritaria e un’altra porzione secondo logica proporzionale; l’Italicum no: la logica è sempre la stessa, corretta da meccanismi che subentrano al computo (proporzionale) delle preferenze.
L’ampio premio di maggioranza: “governabilità” però non è sinonimo di “stabilità di governo”
L’ultima questione che ci interessa è di merito: l’Italicum è o non è un buon sistema elettorale? Qui, evidentemente, la risposta dipende dai punti di vista e, più precisamente, da quanto ciascuno sia disposto a perdere in rappresentatività per guadagnare in governabilità. Ma alcuni punti-chiave sono oggettivi e meritano di essere sollevati.
Anzitutto, il combinato disposto tra riforma costituzionale e riforma elettorale garantirebbe (il condizionale è d’obbligo, dato l’esito nient’affatto scontato del referendum oppositivo di ottobre) «governabilità»: il premio di maggioranza regala alla prima lista del Paese 321 seggi su 630 se assegnato al ballottaggio, o al massimo 340 al primo turno. D’altra parte, ciò non significa affatto assicurare ai cittadini maggiore stabilità di governo, posto che la grandissima parte delle crisi finora registrate è stata di natura extraparlamentare (non causata, vale a dire, da un voto di sfiducia parlamentare). Peraltro, benché il Porcellum assegnasse parimenti un premio in seggi, la «governabilità» del sistema non è stata finora conseguita, mi limito a dire, per due ragioni: in primo luogo, il premio veniva attribuito secondo una logica che variava da una Camera all’altra, e nello specifico su base regionale al Senato e su base nazionale alla Camera dei Deputati; in secondo luogo, il premio poteva essere destinato anche – ma, proprio per questo, soprattutto – a«coalizioni di liste», col patente rischio di produrre, col variare delle «coalizioni» da una Camera all’altra, esiti anche ampiamente differenti.
Nondimeno, il premio di maggioranza sarebbe stato meno oneroso se non avesse consentito di trasformare una maggioranza relativa di preferenze in una maggioranza assoluta di seggi. A questo effetto, sarebbe bastato, per esempio, alzare la soglia del primo turno dal 40% al 50% + 1 delle preferenze, in modo da costringere la lista premiata ad ottenere, in ogni caso (al primo o, eventualmente, al secondo turno) la maggioranza assoluta dei voti.
Riassumendo, l’Italicum non è un sistema misto né, a tanta maggior ragione, un maggioritario; è, tecnicamente, un proporzionale impuro, i cui effetti disproporzionali sono dati dalle soglie di sbarramento e, soprattutto, dal premio di maggioranza in seggi. Complessivamente, è inopportuno definirlo un «cattivo» sistema elettorale; di certo, qualche accorgimento ulteriore avrebbe permesso all’Italia di vantare una legge elettorale all’altezza tanto delle esigenze «istituzionali» quanto delle richieste di rappresentanza.
Andrea Capati