Anticipo pensionistico, il piano del governo
Uscita dal lavoro anticipata di tre anni, ma con il taglio dell’assegno pensionistico che si otterrà una volta raggiunta l’anzianità. Questa, in sintesi, la bozza di riforma dell’anticipo pensionistico (Ape), che l’esecutivo ha presentato ai sindacati durante un incontro a Palazzo Chigi, martedì scorso. Come spiega il Sole 24 Ore, il piano del governo si articola su tre categorie di lavoratori: le uscite volontarie, i disoccupati di lungo corso e lavoratori che sono impegnati nelle mansioni più pesanti e coloro che sono coinvolti in processi di ristrutturazione aziendale o da “accordi bilaterali”.
Anticipo pensionistico: ecco il piano del governo
I lavoratori “over 63” di queste categorie, quindi, potranno richiedere di andare in pensione attraverso un anticipo sull’assegno futuro, ossia quello che percepiranno con il raggiungimento dell’anzianità. Tale anticipo è una sorta di prestito bancario in cui l’Inps farà da intermediario: spetta all’ente di previdenza certificare la situazione previdenziale del lavoratore calcolando i contributi, escludendo, però, quelli che verrebbero versati qualora il lavoratore decidesse di continuare a svolgere le proprie mansioni sino ai 66 anni e 7 mesi. Sempre l’Inps, si impegnerà per attivare la convenzione.
L’anticipo verrà, poi, restituito in 20 anni con rate mensili, con un taglio sulla pensione che potrebbe arrivare sino al 15%. Per ridimensionare l’impatto della rata, quindi, si prevedono detrazioni fiscali per i redditi più bassi. Le decurtazioni, quindi, riguarderebbero alcune categorie di lavoratori: i disoccupati senza speranza di trovare un nuovo impiego, coloro che sono impiegati in mansioni pesanti e chi è coinvolto in lavori di cura familiare.
L’applicazione del piano riguarderà, poi, non solo i privati. Il premier Renzi, a proposito, è stato chiaro: “il ragionamento dell’Ape è articolato sia sulla parte pubblica che privata”. Nei disegni di Palazzo Chigi, quindi, ci sarebbe l’applicazione sperimentale della riforma nel triennio 2017-2019, andando a toccare le classi di lavoratori nate tra il 1951 ed il 1953. Come spiega, però, l’Ansa, saranno soprattutto questi ultimi a beneficiarne: le donne del 1951 sono già in pensione, mentre quelle del 1952 lasceranno il lavoro quest’anno sulla base della deroga già stabilita dalla legge Fornero. Gli uomini del 1951 e del 1952, invece, hanno potuto lasciare (o potranno lasciare) anticipatamente con il raggiungimento della cosiddetta “quota 96”.
Non tutto, però, è stato ancora definito: i prossimi incontri tra esecutivo e sindacati si svolgeranno il 23 e il 28 giugno, per sciogliere il nodo delle detrazioni e dei redditi a cui esse verranno applicati. Nel complesso, però, le parti sono soddisfatte. Il ministro Poletti ha parlato di “lavoro importante”, mentre i sindacati hanno giudicato come positivo il confronto.
Sebbene ancora si è lontani dalla riforma, sono cominciate le prime simulazioni: secondo Progetica, i redditi più alti potrebbero arrivare a pagare fino a 400 euro al mese, per recuperarne la metà dopo il ventunesimo anno. Secondo la Uil, invece, su una pensione netta di 2.500 euro, potrebbe trovarsi una rata di 500 euro al mese.