Savona: la più grande disfatta locale del Pd?
Savona: la più grande disfatta locale del Pd?
La notizia ha trovato poco spazio nelle testate nazionali, soffocata dalle roboanti vittorie a cinque stelle di Roma e Torino, dal salasso di voti nazionale del Pd. Savona, terza città della Liguria e importante realtà portuale, rappresenta al contrario un’importante vittoria sul piano locale di Toti, capace di ripercussioni anche sul piano nazionale. Dopo aver conquistato clamorosamente la regione l’anno scorso, Toti ha pensato intelligentemente di farne proprio fortino elettorale nel marasma nazionale di Forza Italia e della Torre di Babele che è il centrodestra. Avendo per di più tutto l’interesse a fare della Liguria un modello di buon governo, da politico ormai da molti considerato potenziale leader del centrodestra nazionale.
Savona: la più grande disfatta locale del Pd?
In questo turno di amministrative Savona spiccava come realtà ligure più importante: nonostante i pronostici fossero unanimemente favorevoli al Pd, che si proponeva in continuità con un’amministrazione di centrosinistra che la governava da 18 anni, Toti ha speso qui moltissimo del suo tempo e della sua faccia delle ultime settimane. A due mesi dal voto, il centrodestra savonese appariva disperso e depresso, reduce di una legislatura vissuta nell’ombra della minoranza e priva di qualsiasi progetto o personalità degna di nota.
In questo panorama abulico, simile in tutto e per tutto al resto della Liguria dove l’avvento di Toti e della sua giunta ha rappresentato l’anno scorso una folgore improvvisa, il governatore ligure ha tirato letteralmente fuori dal cilindro Ilaria Caprioglio. Avvocato, quarantasette anni, tre figli, nessuna esperienza politica.
Al primo turno ha superato di un solo punto i grillini, strappando un risultato che già profumava di vittoria. Ha completato poi l’opera con una rimonta sorprendente al ballottaggio, battendo la corazzata uscente del centrosinistra con cinque punti di distacco. Ha vinto Ilaria Caprioglio, ma ha vinto soprattutto Giovanni Toti che dopo le regionali dello scorso anno appunta sul petto una seconda medaglia insperata, dimostrando coi fatti e coi voti di saper allargare il suo consenso locale.
Un successo personale, col “suo” simbolo arancione che ha sostituito quello di Forza Italia e affiancato quello della Lega in appoggio alla candidatura della Caprioglio. Un simbolo pensato da Giacomo Giampedrone, suo assessore e braccio destro in giunta e non solo: nato due anni fa a rappresentare una lista civica nella rincorsa del centrodestra e dello stesso Giampedrone ad Ameglia, comune di residenza dei due nell’estremo levante ligure, è stato riproposto l’anno scorso nella cavalcata alla regione e oggi rappresenta la fondazione politica di Toti, “Change”. Nelle recenti amministrative, come nell’immaginario collettivo dei liguri, ha ormai sostituito de facto quello di Forza Italia.
In Liguria come a Savona ha vinto l’idea del centrodestra proposta da Toti: la sua intuizione, nell’osservare nella divisione a sinistra la possibilità di ritrovare voti nel proprio, naturale e disperso, bacino moderato. Ha vinto la sua idea semplice di politica: la volontà di riunire tutti attorno a un tavolo e di apparecchiare per tutti, vivendo al contempo una forte e chiara contrapposizione con un nemico a livello nazionale, Matteo Renzi. Rinunciando, senza ambiguità, a qualsiasi nostalgica velleità nazarena.
A questa ricetta Toti ha aggiunto un programma innovativo e un candidato del tutto apolitico, riuscendo così a resistere prima e abbracciare poi anche i voti dei cinque stelle. Su scala nazionale le recenti amministrative hanno rafforzato la sua posizione personale, tanto all’interno di FI quanto del centrodestra.
Tra i tanti candidati leader o presunti tali di un centrodestra ormai privo di un padre, Stefano Parisi ha perso Milano per un pugno di voti e la sua annunciata leadership è già evaporata. Alfio Marchini si è suicidato col suo progetto civico tra le braccia di Berlusconi. Matteo Salvini, con la sua lega, ha arrancato ovunque e non ha mai passato di fatto il Rubicone, restando confinato al nord e dando l’impressione di aver esaurito la spinta che l’anno scorso gli regalava un’autentica sbornia elettorale. Giorgia Meloni con Fdi è irrilevante ovunque fuori da Roma, dove ha comunque dimostrato di non saper neppure ricucire la propria coalizione attorno al suo nome e arrivare al ballottaggio.
Sul piano partitico, le amministrative ribadiscono invece la centralità nella coalizione di Forza Italia. Senza sedi, senza coordinatori locali e senza organi, come partito non esiste più: intanto a Milano ha trascinato al ballottaggio la coalizione con un clamoroso 20% e ribadito ancor di più la sua essenzialità, paradossalmente, a Roma. Un disastro che ha provato in un sol colpo come la destra a tinte lepeniste non può vantare, da sola, alcuna speranza di governo. Neppure dove è più forte o dove schiera in prima persona un leader, come appunto Giorgia Meloni.
In questo contesto Toti gongola: in Liguria dimostra che il suo metodo funziona, a Roma ha messo la sua faccia fino all’ultimo per appoggiare la Meloni ben sapendo che il suo vecchio e stanco leader, Silvio Berlusconi, non avrebbe mai capitolato ai dispetti dei due giovani aspiranti successori lepenisti.
Con quell’apparente sconfitta personale, Toti si è guadagnato la possibilità di rivendicare come la Meloni avrebbe perso e i due centrodestra uccisi tra loro. Mostrando come il suo metodo, semplice quanto complesso in un panorama di litiganti, sarebbe stato l’unico capace di non relegare il centrodestra alla marginalità a Roma come ovunque, in un panorama tripartitico ormai consolidato. La Liguria e la piccola Savona a dimostrarlo.
Giorgio Borrini