Dal futuro disoccupazione tecnologica o opportunità? Per l’Italia per l’Economic Forum brutte notizie
Dal futuro disoccupazione tecnologica o opportunità? Per l’Italia per l’economic Forum brutte notizie
Non è un tema nuovo, se ne parla dai tempi dei luddisti del 1800, e dopo alcuni decenni di declino la corrente di pensiero che vede il futuro dell’economia come caratterizzato da disoccupazione tecnologica appare di nuovo in forma.
E’ un fiorire di teorie che cercano di smentire la realtà finora emersa per cui per n posti persi ce ne sono n+1 guadagnati in altri settori: finito il tempo dei maniscalchi è venuto quello dei meccanici, via gli stenografi, ci sono gli informatici, ecc.
Secondo molti osservatori anche autorevoli si sta fermando il motore che ha evitato finora la disoccupazione tecnologica e anzi migliorato l’occupazione quantitativamente e qualitativamente, ovvero la produttività e i margini di crescita.
Se la tecnologia avanza, è il ragionamento, ma non i margini e la produttività, i posti distrutti dalle macchine non verranno sostituiti, la diminuzione di operai necessari per costruire un’auto non viene compensata dall’aumento delle auto vendute grazie alla crescita economica. Oppure non ci sarà un aumento dei redditi e della domanda che renderà necessario un aumento dei lavoratori in altri settori dove le macchine contano meno.
Il recente report del World Economic Forum sembra in parte confermare questa visione, anche se con alcune osservazioni.
Per esempio il WEF pone l’attenzione sulla grande asimmetria del cambiamento: che si verifichi o meno una ondata di disoccupazione, che del resto nei Paesi avanzati non si vede ancora, non sarà in tutti i settori e neanche in tutti i Paesi, ma di più in alcuni e meno in altri.
E l’Italia non sembra affatto tra gli Stati nelle migliori condizioni.
Disoccupazione tecnologica in agguato per le professioni amministrative gli operai
Le professioni più colpite per il WEF saranno innanzitutto quelle d’ufficio e amministrative.
Nei Paesi industrializzati fino al 2020 si perderanno 4,75 milioni di lavoratori in questo campo, molti si pensioneranno ma molti altri saranno licenziati.
Un altro milione e 600 mila sarà perso nel manifatturiero, e poi nel settore delle costruzioni.
E non ci sarà un recupero equivalente in altri settori: quasi mezzo milione sarà richiesto nella finanza e nel campo delle Business Operations, più di 400 mila nel management. Quindi dobbiamo immaginare nella consulenza, nei sistemi informativi, in ruoli funzionali o tecnici. Infatti nell’informatica si prevede un aumento di 400 mila.
E poi ancora nelle vendite
Questo perchè con la crescente robotizzazione le competenze richieste agli esseri umani saranno sempre più quelle che una macchina non può (per ora svolgere), quelle legate alla creatività e al pensiero critico, al trovare nuove soluzioni, ancora più che implementarle, cosa che può fare anche un computer.
Al primo posto nel 2020 ci sarà sempre la capacità di risolvere problemi complessi, ma poi verrà appunto il pensiero critico, la creatività, la gestione delle risorse umane, molta più importanza avrà l’intelligenza emozionale, la negoziazione.
Non solo programmatori, quindi, ma anche manager, artisti, e del resto a sostituire la fabbrica di oggetti verrà quella virtuale, la produzione di eventi, di entertainment.
Ma anche nei settori che si salveranno dall’avvento delle macchine e anzi che vedranno un aumento di occupazione ci saranno dei grossi cambiamenti delle “disruption“, come vengono chiamate dal WEF, ovvero dei continui mutamenti di paradigma, di skills richiesti, che cambieranno più della media soprattutto nei servizi finanziari o nel settore della mobilità in cui, con le auto che si guidano da soli ma più connesse i cambiamenti saranno molti.
E anche tra i Paesi questi cambiamenti nelle competenze necessarie non saranno gli stessi.
In alcuni casi la disruption sarà maggiore, e guarda caso l’Italia è al primo posto, seguita da India, Cina, Turchia.
Tra le aree meno colpite i Paesi dell’ASEAN, quindi sul Pacifico, e del Golfo Persico.
Non si tratta quindi tanto di una questione di Paesi emergenti e dall’economia tradizionale, quanto di Paesi basati sulla manifattura, o sulle costruzioni, come appunto il nostro e quelli emergenti citati, e quelli in cui sono i servizi, soprattutto non finanziari, che contano molto, come l’entertainment, il turismo, ecc.
In Italia, Cina, India, Turchia, dovrà cambiare il focus sulle competenze più necessarie, ci dovranno essere investimenti, per esempio sull’istruzione.
Non è questa una previsione sui Paesi che avranno per forza più o meno difficoltà economiche, ma che saranno sottoposte a più pressioni e avranno bisogno di riforme e cambiamenti strutturali, certamente.
E purtroppo come Italia non siamo molto forti in questo.