Italia e Brexit: ecco le idee del governo per la salvaguardia delle banche
Chissà se ai tavoli del Consiglio europeo previsto per oggi e per domani, gli alti rappresentanti dei 27 avranno modo di discuterne più fondo. Certo il recente tracollo delle capitalizzazioni dei titoli di Borsa, sfumate a seguito del voto del 23 giugno in Gran Bretagna sulla Brexit, più di 620 miliardi lo scorso venerdì, più di 200 ieri, ha allertato il sistema del credito internazionale, la Banca centrale europea e naturalmente anche Bankitalia.
A Piazza Affari, le quotazioni dei principali istituti di credito hanno lasciato sul terreno percentuali inquietanti tanto da far intervenire, al fine di rassicurare mercati e investitori nostrani, il sottosegretario all’Economia Pier Paolo Baretta, che ha negato l’esistenza di una situazione di emergenza e la necessità di interventi pubblici. Eppure in queste ore, a palazzo Chigi, starebbero già studiando alcune mosse macroprudenziali di salvaguardia, a tutela delle banche.
Dopo Brexit, prove d’intesa tra Palazzo Chigi, Mef, Mise e Cdp
Visto che prevenire, specie in economia, è sempre meglio che curare, il governo avrebbe già intavolato un confronto articolato con tutti gli enti preposti alla gestione dei denari dello Stato: Ministero dell’Economia (Mef), Ministero dello Sviluppo economico (Mise) e Cassa depositi e prestiti (Cdp), al fine di approntare una rete di sicurezza, in accordo con le istituzioni europee, nel caso la degenerazione speculativa al ribasso dovuta alla Brexit dovesse continuare a dimostrarsi ostinata e fastidiosa, specie sui titoli bancari. Allo stato attuale da Palazzo Chigi non trapela nulla di preciso, tuttavia alcune fonti del ministero dell’Economia confermano una “valutazione del quadro d’insieme circa tutti i possibili scenari, dunque su tutti i possibili interventi”.
Ieri il presidente del Consiglio Matteo Renzi, durante il consesso a tre tenutosi a Berlino con il Cancelliere tedesco Merkel ed il presidente francese François Hollande, ha paventato realistico un eventuale intervento complessivo per donare nuovamente stabilità ai gangli vitali del Paese, da definire nel rispetto delle regole comunitarie di gestione delle banche, normativa BRRD su tutte, meglio nota come Bail-in, in Italia tristemente famosa per alcune recenti vicende legate al fallimento pilotato di alcuni istituti.
Palazzo Chigi, Mef, Mise e Cdp: le ipotesi in campo
Una prima ipotesi al vaglio dell’Esecutivo potrebbe presupporre una ufficiale richiesta dell’Italia per l’attivazione di una deroga al divieto degli aiuti di Stato imposto dagli statuti europei. Nello specifico, si tratterebbe di appellarsi all’articolo 108 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, che prevede tale scenario in presenza di “circostanze eccezionali”, quali potrebbero essere quelle determinate dalla Brexit.
Altre tre soluzioni sarebbero già al vaglio di Via XX Settembre. Esse si nutrirebbero del contributo essenziale di altri due attori importanti oltre alla necessaria azione politica offerta da Palazzo Chigi: il Ministero dello Sviluppo economico, forte dell’esperienza internazionale di Carlo Calenda, e Cassa depositi e prestiti. Una prima strada condurrebbe ad una garanzia da parte di Cdp e di investitori privati per un aumento di capitale. Altra possibilità sarebbe quella di una seconda tornata di immissioni di Bond da sottoscrivere a tasso di interesse agevolato, nel 2010 furono siglati all’8,5%, convertibili in liquidità sfruttabile, a richiesta del Cda.
Ultima idea in campo potrebbe essere quella di un nuovo Fondo Atlante che acquisti una cospicua percentuale di Npl (crediti deteriorati), passando da una copertura odierna larga al 55% ad una più stretta del 20%, a fronte di una capitalizzazione patrimoniale di almeno 23 miliardi. Su questa opzione ci sarebbe eventualmente da considerare il limite invalicabile del 17,6%: soglia questa che, se superata, prevede l’avvio automatico delle procedure di Bail-in.
Riccardo Piazza