Turchia: i destini di Ankara tra Unione europea e libertà fondamentali
Turchia: i destini di Ankara tra Unione Europea e libertà fondamentali
Mentre Istanbul, appena violata nella notte da un attentato atroce, brucia e arde la sacralità di quella che un tempo fu il collante tra i fasti dell’Impero romano e dell’ermeneutica bizantina, contando i morti e i feriti di una instabilità crescente, la Turchia tutta vive oggi gli incunaboli di una evoluzione politica importante.
Da Ankara passano gli equilibri del Vicino Oriente e buona parte delle relazioni strategiche e di sicurezza dell’Unione europea. Recep Tayyip Erdoğan brama un ruolo di perno centrale nello scacchiere internazionale: Pendolo di Foucault necessario a Bruxelles, in continua tensione ideale con la sua evidente autorità levantina, la sua avversione per i curdi, ed un neo-ottomanesimo di facciata, non sempre, invero, amico delle libertà e dei diritti fondamentali.
Turchia: la libertà di stampa e le repressioni sociali
Non vi è dubbio: i plurimi massacri, le distruzioni del sangue e gli attentati di matrice terroristica plasmano una fortissima eco a livello mediatico e informativo. Del resto, la Turchia rappresenta l’anello di congiunzione della catena d’influenza europea su buona parte dell’Oriente, dunque non stupisce poi più di tanto si trovi avvinta nella morsa di un ISIS ancora non domo e accerchiata dalle rivendicazioni territoriali intestine del PKK (Partito dei Lavoratori del Kurdistan). Contemporaneamente, il paese del presidente Erdoğan è anche il sistema di filtraggio fondamentale, ben pagato dall’Ue, per il controllo dei flussi migratori.
Molto più sibillina e sorniona, ma ugualmente deflagrante al pari forse degli ordigni militari, è stata in questi mesi la strisciante repressione sistematica, da parte del governo di Ankara, di alcune fra le più importanti libertà fondamentali. Libertà e diritti d’espressione, a mezzo stampa e sul web, di comunanza e di professione di culto, di aggregazione sociale o di identità sessuale.
Il 21 giugno scorso la collettività di Istanbul si è mobilitata in una grande manifestazione di protesta al fine di richiedere la liberazione immediata di tre intellettuali impegnati nella difesa della libertà di stampa. Erol Onderoglu, rappresentate in Turchia di Reporter senza frontiere, la docente universitaria Sebnem Korur Fincanci e lo scrittore Ahmet Nesin, sono stati accusati di propaganda terroristica per aver partecipato ad una campagna in favore del quotidiano filo-curdo Ozgür Gündem.
Sempre nei meandri di quella che fu la gloriosa ed inclusiva Costantinopoli, la Basilica di Santa Sofia nacque come cattedrale cristiana per poi diventare luogo di culto per i greci-ortodossi, poi cattedrale cattolica, poi moschea di rito musulmano, pochi giorni or sono, le forze dell’ordine turche hanno messo in atto una energica azione di contrasto nei confronti del corteo annuale del Gay Pride, in favore della comunità LGBT. Gli scontri, avvenuti a seguito di un coprifuoco diramato già parecchie ore prima dal potere costituito, hanno registrato dei feriti e diversi arresti, sia tra i manifestanti, sia tra i componenti della stampa internazionale.
Turchia: le reazioni (timide) dell’Unione europea
Intervistata a seguito delle incarcerazioni, Günay Aksoy, la direttrice responsabile del quotidiano accusato di propaganda terroristica, ha così commentato gli accadimenti: “La comunità internazionale dovrebbe interessarsi al regresso dei diritti umani e della libertà di stampa in Turchia. La società e i poteri democratici sono isolati. Testimonianze di solidarietà dall’estero potrebbero forse fare pressione e rompere questo isolamento”.
Alcune ore fa l’Alto rappresentante europeo per la politica estera e di difesa Federica Mogherini ha dichiarato che “tali azioni di repressione vanno contro gli impegni presi dalla Turchia in tema di rispetto dei diritti umani”. Molti analisti hanno colto, nel prudente atteggiamento fino ad ora tenuto delle alte istituzioni del Vecchio continente verso Ankara, una malcelata sudditanza psicologica e di convenienza nei confronti di Erdoğan.
Il nuovo assetto del potere turco sta, a ben vedere, giocando tutte le sue carte per ottenere il massimo da una Europa in fortissime ambasce esogene ed endogene: preziosa sarà, in questo senso, una buona dose di lungimiranza comunitaria, magari ricordando che la Realpolitik, nella storia, non sempre si è dimostrata una scelta vincente.
Riccardo Piazza