Il referendum per cambiare l’Italicum non si farà
Non sono riusciti a raggiungere il numero di firme necessario per richiedere il referendum abrogativo. I promotori della raccolta firme contro la nuova legge elettorale, l’Italicum, non hanno raccolto le necessarie 500 mila, ma si sono fermati a 420 mila. Grande rammarico in casa anti Italicum.
Fu il 6 maggio dell’anno scorso a sancire un’ulteriore spaccatura fra Matteo Renzi e una parte di società civile. Quella che non apprezzava la nuova legge elettorale: il sistema è proporzionale, prevede un doppio turno e un premio di maggioranza, non considerando una soglia di sbarramento (come in molti sistemi elettorali, ad esempio quello tedesco) ed infine cento collegi plurinominali con i capilista bloccati. Quel che il costituzionalista Alessandro Pace (promotore del referendum) non digeriva dell’Italicum erano proprio i capolista bloccati e il premio di maggioranza che faceva volare al 54% dei seggi.
“Siamo delusi, ma lavoreremo con più forza per ottenere le firme per la grande consultazione di ottobre”, ha ammesso Pace. Quella sulla la grande riforma costituzionale varata da Matteo Renzi. Stesso sentimento, quello di delusione, per l’Arci e l’Anpi che si erano spese per la raccolta firme contro l’Italicum.
Non solo Italicum, si stanno raccogliendo firme per altri due referendum
Ma non è l’unico referendum per cui si stavano raccogliendo le firme. Si lavorava su due consultazioni ambientali anzitutto, la cui sottoscrizione non si è nemmeno avvicinata al mezzo milione necessario per la votazione: uno sulle perforazioni e carotaggi onshore e offshore, l’altro sugli inceneritori. Molto più successo per la petizione popolare circa la ridiscussione del Decreto Madia, sulla privatizzazione servizi pubblici: centinaia di migliaia di firme. La Cgil, invece, è ancora impegnata nel conteggio delle firme per la richiesta di un referendum abrogativo circa la riforma dell’istruzione, ‘La buona scuola’. Vedremo se il solito autunno caldo dei movimenti, quest’anno si caratterizzerà per più referendum, come nella primavera del 1993.
Daniele Errera