Spacchettamento del referendum costituzionale: è possibile?
Lanciata all’inizio dell’anno dal professor Fulco Lanchester durante il seminario “Riforma costituzionale e referendum parziali” tenutosi lo scorso 11 febbraio all’Università La Sapienza di Roma, la proposta di “spacchettamento” del referendum confermativo della riforma costituzionale Renzi-Boschi, fatta propria anche dal costituzionalista Michele Ainis (Roma Tre) dalle colonne del Corriere della Sera, è nuovamente tornata a far discutere.
Referendum costituzionale, la proposta di “spacchettamento”
Nel concreto, si tratterebbe di suddividere il referendum costituzionale in più quesiti omogenei, caratteristica che una sentenza del 1978 aveva ha richiesto per i referendum di tipo abrogativo, ma al momento non prevista per quelli confermativi. La richiesta dovrebbe essere avanzata entro il 14 luglio o da 500.000 elettori, o da un quinto dei parlamentari, o da 5 consigli regionali. Nel caso riuscisse a soddisfare questo requisito preliminare, l’Ufficio Centrale per i Referendum, istituito presso la Corte di Cassazione, avrebbe 30 giorni per accettare oppure respingere la proposta di un referendum “spacchettato”. Se tale suddivisione venisse giudicata inammissibile, probabilmente i suoi promotori solleverebbero un conflitto di attribuzione presso la Corte Costituzionale, che dovrebbe prendersi i suoi tempi per sbrogliare la faccenda ed eventualmente aprire una consultazione referendaria per parti separate.
Michele Ainis invece proponeva una “leggina che permetta di spacchettare il referendum, intervenendo sulla disciplina regolata dalla legge n. 352 del 1970”, più volte emendata; in tal modo essa dovrebbe incaricare l’Ufficio Centrale per i Referendum di accorpare e suddividere anche i referendum costituzionali, come è già previsto per quelli abrogativi, per i quali ha anche la facoltà di trasferirli su eventuali nuove leggi approvate nel frattempo. Tale strada, visti i tempi, è divenuta impraticabile.
Ad ogni modo la proposta di “spacchettamento”, all’insegna della parola d’ordine “discernimento”, eviterebbe l’effetto plebiscitario della consultazione, permetterebbe di entrare nel merito delle singole modifiche e darebbe la libertà all’elettore di approvare solo le parti che nella riforma sono di suo gradimento. Un’idea simile emergeva in controluce nel documento firmato da 56 giuristi schierati contro la Riforma nel complesso, mentre se ci fosse “la possibilità di votare separatamente sui singoli grandi temi in esso affrontati” il loro giudizio potrebbe essere meno drastico.
Spacchettamento del referendum costituzionale: alcuni dubbi dei costituzionalisti
Il professor Paolo Carnevale (Roma Tre), con un intervento sul primo numero del 2016 di Nomos. Le attualità nel diritto, quadrimestrale coordinato da Lanchester, l’estensore stesso della proposta di “spacchettamento”, ha mostrato alcune perplessità. In particolare, sottolinea che dall’inammissibilità di referendum parziali sull’approvazione degli statuti delle Regioni di tipo ordinario può essere ricavata un’analoga esclusione di referendum parziali o spacchettati “anche sulle leggi costituzionali”. La Legge stessa del 1970 distingue tra referendum abrogativo e referendum confermativo di revisione costituzionale: in quest’ultimo caso, anche per via della formula fissa prevista per il quesito, non chiede all’elettore di scegliere tra la “legge e il suo venir meno […] bensì di scegliere se il mutamento costituzionale proposto sia “meglio” o “peggio” rispetto all’assetto normativo preesistente”. L’omogeneità del quesito confermativo non si porrebbe proprio, perché una legge è unitaria e omogenea per definizione, e comunque – come si vedeva – per gli Statuti regionali è previsto un referendum che non può essere suddiviso. Per il professor Carnevale, quindi, tale spacchettamento può essere consentito solo da una preventiva riforma dell’articolo 138 della Costituzione, che regola i referendum di revisione costituzionale.
Sulla stessa rivista, Massimo Siclari ha invitato ad usare prudenza riguardo il criterio di “omogeneità”, variamente interpretato anche dalla giurisprudenza costituzionale. Se certamente il lungo titolo della Riforma Renzi-Boschi prefigura un contenuto disomogeneo, sarebbe comunque da “concludersi che non vi sia rimedio alla disomogeneità, in questa fase del procedimento di revisione costituzionale, nonostante le nobili intenzioni di chi ha proposto lo ‘spacchettamento’ del quesito”. Egli non esclude la strada del conflitto di attribuzione, tuttavia la definisce “impervia”.
Tra i costituzionalisti contrari allo spacchettamento vi sono poi Carlo Fusaro (Università di Firenze) che esplicitamente ha parlato di “fantacostituzionalismo”, poiché dato che “il Parlamento si è assunto la responsabilità di varare una legge unica, non più leggi”, la suddivisione sarebbe giuridicamente inammissibile, anche perché potrebbe aprire a esiti contraddittori, qualora ad esempio venissero approvate le nuove funzioni da attribuire al Senato senza però l’approvazione dell’articolo che toglie tali funzioni alle Regioni. “È proprio una discussione che non esiste”, ha sentenziato il professore. Della stessa linea anche il professor Stefano Ceccanti (La Sapienza), convinto sostenitore del referendum unitario per rispettare i pesi e i contrappesi previsti dalla Riforma; inoltre ha sottolineato che pure la Camere nella seconda lettura conforme, il Parlamento è tenuto ad esprimersi unitariamente sul testo di revisione costituzionale, senza possibilità di modifiche. Si possono citare il referendum del 2006, che interveniva su 55 articoli (la Riforma Renzi-Boschi ne modifica 40) ma, in sede comparata, anche le riforme costituzionali francesi e svizzera approvate sempre unitariamente.
Uno spacchettamento per evitare il plebiscito su Renzi?
In fin dei conti, a chi giova lo “spacchettamento” del referendum? Al di là delle intenzioni di Lanchester, che personalmente è intenzionato a votare “no”, ma non è sua intenzione utilizzare la suddivisione del quesito come arma tattica, alcune forze presenti in Parlamento hanno mostrato interesse per la sua proposta. Innanzitutto il Partito Radicale ha proposto 5 quesiti: 1) bicameralismo; 2) elezione e composizione del Senato; 3) elezione giudici Corte costituzionale; 4) Titolo V rapporti Stato-Regioni; 5) istituto referendario. Mancherebbero però quelli sul procedimento legislativo e l’abolizione CNEL. I Radicali, per bocca del segretario Riccardo Magi, hanno affermato che “solo un referendum parziale, sugli aspetti più controversi, oppure per parti separate, garantirebbe la libertà di voto”.
Interessati allo spacchettamento anche i centristi, con Adriana Galgano di Scelta Civica che ha parlato di “passaggio cruciale” che non può essere sminuito o ridotto “ad un semplicistico voto sul binomio: Renzi sì, Renzi no”; a tal fine aveva annunciato una proposta di suddivisione del quesito costituzionale alla Camera. Anche il Partito Socialista di Nencini non ha escluso l’ipotesi di spacchettare il quesito referendario, caldeggiando inoltre un posticipo della data, inizialmente prevista per ottobre, perché evitare che intralci l’approvazione della Legge di Stabilità.
La riduzione del carattere plebiscitario della consultazione referendaria sembra essere obiettivo anche della minoranza PD, quella meno entusiasta di Renzi, con Miguel Gotor che a febbraio temeva che tale referendum potesse trasformarsi in un rafforzamento personale del Presidente del Consiglio. Oggi, invece, tale richiesta sembra forse essere soppiantata da quella di una modifica alla legge elettorale “Italicum-Espositum”, applicabile da appena 10 giorni, per attribuire il premio di maggioranza alla coalizione – anziché alla lista, come previsto ora – vincente al ballottaggio; ciò rappresenta una mano tesa anche verso Sinistra Italiana e altri partiti che potrebbero coalizzarsi per far vincere il PD, ma al contempo controbilanciando l’unidirezionalità del decisionismo portato avanti da Renzi. Ettore Rosato, capogruppo PD alla Camera, però qualche giorno fa ha avvisato: “Non ci sono gli estremi” per lo spacchettamento: “la riforma ha una sua complessità e va approvata così come è”.
Il Movimento 5 Stelle, dal canto suo, si era mostrato inizialmente interessato alla proposta di spacchettamento. Tuttavia, spiega Danilo Toninelli, l’esperto in materie elettorali e costituzionali, “siamo giunti alla conclusione che non è conveniente. Non vogliamo fare una cortesia a Renzi, perché con tutta probabilità la Corte Costituzionale o la Cassazione boccerebbero la proposta”. Questo significherebbe infatti uno slittamento della data al 2017; con il vento in poppa per il M5S è quindi meglio che si voti subito questo referendum: “vinciamolo, e poi si vada ad elezioni”, ha affermato il deputato cinquestelle.
Ma il voto immediato è proprio ciò che vorrebbe evitare Renzi che, dopo aver promesso le dimissioni in caso di sconfitta ad ottobre, oggi si trova con un PD in difficoltà – nei sondaggi superato dal Movimento 5 Stelle – e già si pensa ad un rinvio del referendum, perlomeno a novembre. Lo spacchettamento potrebbe essere visto come un passo indietro rispetto alla valenza personale che ha attribuito a tale consultazione, oppure un semplice modo per temporeggiare in attesa di tempi migliori. Per il momento Renzi non si sbilancia: “Non dipende da noi” ma “se la Corte di Cassazione, o la Consulta se sarà investita, daranno altro un altro giudizio non abbiamo nessun problema, l’importante è che il dibattito sia sul merito della riforma”.