Theresa May: chi è il 76esimo PM del Regno Unito?
Nessuno avrebbe scommesso un centesimo su una accelerazione del genere, specie considerando il melmoso pantano nel quale è terminata la macchina della politica inglese a seguito della Brexit. Ciò nonostante, Theresa May, fino ad oggi detentrice del ministero dell’Interno, in un susseguirsi repentino di eventi e di ritiri dalla corsa delle primarie dei principali concorrenti, ultimo e decisivo quello di Andrea Leadsom, ha ottenuto l’elezione a leader del Partito Conservatore britannico dei Tories e, dunque, secondo le regole del Parlamento di Londra, anche la carica di primo ministro in pectore, successore diretto del dimissionario David Cameron: “Entro mercoledì sera, la Gran Bretagna avrà un nuovo premier”. Queste le parole dell’ormai uscente capo del governo intercettato dalla Bbc sull’uscio del numero 10 di Downing Street. Per la giornata di domani è previsto il cambio della guardia, Cameron parteciperà oggi alla sua ultima riunione in Parlamento dunque mercoledì rimetterà i poteri nelle mani della regina Elisabetta II.
Theresa May: realismo e pragmatismo anglosassone
Il Financial Times ha definito Theresa May uno spirito realista e poco idealista. Una personalità incline alla visione d’insieme più che alla tenuta delle posizioni di principio (al suo primo Congresso definì i Tories un “nasty party”, partito antipatico, per via di una comunicazione intrattenuta con un elettorato troppo ristretto). Un suo idealtipo affine, per prassi politica e per azione istituzionale, potrebbe dunque essere Angela Merkel. Colei che domani diverrà il settantaseiesimo primo ministro della storia britannica, il tredicesimo nominato ufficialmente da Sua Maestà Elisabetta II, è anche la seconda donna in assoluto a varcare la porta fatidica di Downing Street numero 10. La prima, ventisei anni or sono, fu Margaret Thatcher.
Dalla tradizione della “lady di ferro”, la May ha appreso molto. Medesimo rigorismo morale nell’affrontare le decisioni riguardanti la gestione dell’ordine pubblico nel Paese. Con lei a capo della Sicurezza nazionale la Gran Bretagna non ha subito attentati terroristici. In sei anni alla guida del Dicastero degli Interni, mai eguale longevità per nessuno dal dopoguerra, Theresa May non ha avuto remore nel proporre seri cambiamenti e nuove prassi di organizzazione interna nei confronti di plurimi corpi specifici dello Stato, anche in aperto contrasto, ad esempio, con il sindacato di polizia. Il nuovo leader dei Tories unisce a tale profilo sobrio un pacato quanto razionale e aperto riformismo conservatore. Non è una femminista e considera le quote “una forma di discriminazione al contrario”.
Nel discorso programmatico di ieri, che il Guardian ha segmentato e analizzato nelle sue linee principali, il nuovo primo ministro in pectore ha dichiarato di voler fare della Gran Bretagna “un Paese che funzioni per tutti”, conscio del valore che dovrà assumere agli occhi dell’Unione europea, alla luce della recente uscita dalla cerchia comunitaria.
Theresa May: alcuni cenni biografici
Theresa May entra per la prima volta in Parlamento nel 1997 dopo essersi candidata per due volte senza successo. Il terzo tentativo le concede l’approdo alla Camera dei Comuni. Figlia di un pastore protestante, conduce i suoi studi ad Oxford dove consegue la laurea in Geografia. I primi contatti con il mondo della militanza dei circoli politici universitari conservatori risalgono agli anni ’70.
Liberale, ambiziosa, nel 2002 è segretario generale del Partito Conservatore, ma allo stesso tempo austera (unica punta di eccentricità nell’abbigliamento), non ama le luci dei riflettori. All’interno del pubblico dibattito circa l’uscita del Regno Unito dall’Unione europea si è sempre dimostrata moderatamente a favore della permanenza. Tredici anni di opposizione hanno forgiato la sua esperienza politica e formato un carattere di livello e di estrema lungimiranza.
May diventerà domani primo ministro britannico all’età di 59 anni, sul tavolo di Downing Street troverà le spinose questioni di politica internazionale, una situazione economico-finanziaria da affermare nuovamente e una nazione da traghettare al meglio fuori dall’Ue, tramite l’attivazione della richiesta di recesso, così come previsto dall’Articolo 50 del Trattato di Lisbona.
Riccardo Piazza