“Liberalizzazione” del lavoro a tempo determinato? Nemmeno per sogno. Casomai, una “bonificazione” di quel tipo di contratto, nel tentativo di depurarlo di elementi e usi nocivi. È convito di questa posizione Giuliano Poletti, ministro del lavoro del governo Renzi, intervenuto a Napoli alla “Repubblica delle Idee”.
Rispetto ad altre forme di contratto che hanno favorito il lavoro precario, per Poletti il contratto che consenta a un ragazzo di lavorare 36 mesi è comunque migliore e – detto in modo chiaro, che più chiaro non si può – “è di sinistrissima”. Sarebbe finita (da tempo) la stagione del tempo indeterminato come unico contratto “buono”.
È una soluzione che piace a Confindustria, ma Poletti nega cedimenti del governo sul fronte del contratto unico, di cui gli imprenditori sembrerebbero voler fare a meno: “Non può continuare a pagare lo Stato. Il contratto unico è scritto nella legge delega. Il contratto a termine è solo un primo pezzo con cui partire; tutto il resto arriverà, ma non si poteva andare per gradi. Serve un’armonizzazione tra misure per il lavoro e ammortizzatori sociali, altrimenti crolla il sistema come un castello di carte. E io non voglio altri esodati”.
Per il ministro la riforma del mercato del lavoro potrebbe arrivare entro l’anno, “se il Parlamento opera come deve” (il testo dovrebbe arrivare in aula al Senato a fine luglio, approdando alla Camera a settembre”) e rivendica il successo del suo governo: “L’ultima volta che si è affrontato il tema ci hanno messo 4 anni, noi dieci mesi”.
È consapevole Poletti che da sole le regole non bastano per rilanciare l’occupazione, ma sono un ingrediente fondamentale: “Regole semplici e trasparenti aiutano l’economia. Perché per creare lavoro servono imprese che crescano e le nostre regole dicono alle imprese: non avete più scuse per non assumere”. Un pensiero va anche alle “vere” partite Iva, che rischiano puntualmente di non vedersi pagare e di finire in cause dalla durata esagerata: “Se qualcuno non li paga, ad esempio, in Italia possono solo andare dal giudice e aspettare dieci anni una sentenza. Intanto muoiono. Occorre dunque intervenire sui tempi della giustizia, ma immaginare anche un fondo di soccorso in loro sostegno”.
Altra categoria che per il ministro merita attenzione è quella dei lavoratori vicini (ma non troppo) alla pensione, a serio rischio di trasformarsi in esodati: “Hanno bisogno di risposte se perdono il lavoro. Pensiamo un ‘contratto di equità’ in grado di metterli in grado di arrivare all’età pensionabile. Gli esodati sono una priorità, questa è l’urgenza”.
Lo stesso vale però per i giovani, specie quei 2,4 milioni che non studiano e non lavorano: “Li abbiamo prodotti con le nostre politiche. Ma questo governo non vuole piangere, vuole fare. Diciamo ai giovani: registratevi sulla pagina del sito del Ministero dedicata al Progetto Garanzia Giovani. Le agenzie pubbliche vi chiameranno entro 4 mesi e vi faranno una proposta: tornare a scuola, apprendistato, servizio civile, attività formative. Ma adesso sul sito c’è anche un’altra pagina: è dedicata alla registrazione delle imprese disponibili a servirsi di questi giovani, che oggi sono in 70mila a essersi registrati”.
L’importante, secondo Poletti, è evitare “un conflitto fra coloro che hanno un problema”. Questo prevede attenzione all’irregolarità (“Gli ispettori del lavoro sono lavoratori che vanno rispettati”), contemperare gli strumenti per i giovani (la cui fascia è ampliata fino ai 29 anni) e per chi è più avanti con l’età: “Ma la risposta è nell’economia e nelle imprese. Possiamo dare tutti gli incentivi che si vogliono, ma se non si crea lavoro, il lavoro non c’é”.
E a Susanna Camusso che chiede ai partiti di sinistra di fare fronte comune nel segno del lavoro, Poletti risponde: “Un partito deve parlare a tutto il Paese. Il lavoro è un elemento importante, ma se per lavoro si intende solo quello dipendente non ci sto. Dove li mettiamo i giovani, gli artigiani, i professionisti?”
Gabriele Maestri