Imprese fallite, meno di metà delle aziende nate nel 2009 nel 2014 c’era ancora
Se c’è un indicatore di come la crisi economica ha colpito duro nel nostro Paese soprattutto il mondo delle aziende è sicuramente l’insieme di indici demografici d’impresa appena pubblicato dall’ISTAT, che descrive la natalità e la mortalità delle imprese stesse per settore, dimensione, area geografica.
In questi anni, dal 2009 al 2014, c’è stata una leggera ripresa del tasso di nascita delle aziende, ma parallelamente, e anzi a livelli più alti, è aumentato anche il tasso di mortalità delle stesse, con un picco nel 2013.
Solo nel 2014 vi è stato un leggero calo, ma su percentuali sempre maggiori di quelle degli anni 2009-2013
La tendenza, insomma, è stata a un maggiore turnover di imprese, più ne nascono, più ne fallisconono. Anche il mondo imprenditoriale, come quello dei dipendenti, soffre il precariato.
Ma non tutti allo stesso modo
Imprese fallite, soffrono di più quelle con meno dipendenti
Non è difficile immaginare che le imprese con la mortalità maggiore sono quelle con un solo o pochissimi dipendenti.
E sappiamo quante siano in Italia più che altrove, e quanti problemi già ci procuri questo nanismo aziendale.
E gli ultimi dati ISTAT sono una conferma.
Le aziende individuali o fino a 5 dipendenti hanno certamente maggiori tassi di natalità di quelle più grandi, ma allo stesso tempo anche sono anche quelle con mortalità maggiore.
La differenza tra le aziende con più di 10 dipendenti e quelle individuale è enorme, si va dall’1% al 9% di mortalità circa.
La differenza nelle dimensioni è ben più importante di quella basata sulla geografia.
Non si trovano enormi divari in base al collocamento dell’impresa al Nord, al Centro o al Sud, anche se, certo, si percepisce come al Sud e nelle Isole siano maggiore natalità e mortalità, 8,3% contro 6,5% nel primo caso, e 9,9% contro 7,9% nel secondo.
Ma la ragione è sempre la stessa, una molto maggiore diffusione dell’impresa individuale, del piccolo commercio, delle costruzioni nel Mezzogiorno
Imprese fallite, commercio e soprattutto costruzioni le maglie nere
Un altro parametro che invece conta, eccome, nella probabilità di vedersi falliti in pochi anni o meno, è il settore in cui opera l’azienda.
E anche qui ci sono poche sorprese per chi segue l’economia.
Sono le costruzioni il settore più pericoloso. Solo il 37% delle aziende fondate nel 2009 in questo settore nel 2014 erano ancora in piedi. E d’altronde abbiamo visto come l’Italia rimanga l’unico Paese, o quasi, in cui i prezzi delle case continuano a scendere. La crisi del mattone, cominciata in ritardo, non ha ancora visto quella ripresa, seppur timida, di cui altri settori godono.
Anche quelle nel commercio erano in condizioni poco invidiabili, più di metà non era sopravvissuta dopo 5 anni.
Unico settore in cui il tasso di sopravvivenza supera il 50% è quello dell’industria in senso stretto, che è quello che ora si è ripreso maggiormente, e del resto, guarda caso, quello in cui il numero medio di dipendenti è più alto.
Un particolare inquietante è che i dipendenti delle imprese fondate nell’anno 1 e rimasti dopo 4 anni più i nuovi assunti nel frattempo nelle aziende stesse sopravvissute sono quasi sempre meno di quelli originali, tranne che nel caso dell’industria. Ma nel commercio o nelle costruzioni i nuovi lavoratori nelle aziende che hanno resistito invece non compensano i licenziati o coloro che comunque hanno perso lavoro per fallimento dell’azienda.
C’è quindi bisogno di un continuo turn-over di aziende che compensano quelle fallite, e che però a loro volta falliranno, a un ritmo che pare accelerare.
La tendenza alla nascita delle start-up favorisce questo trend, ma è chiaro che si deve avere bene in mente che un lato della medaglia è questo maggiore precariato, questo maggiore fallire e rinascere, per poi fallire e rinascere ancora.