Assunzioni a tempo indeterminato, è crollo, cosa succede?
Assunzioni a tempo indeterminato, è crollo, cosa succede?
Sembrano lontani i tempi in cui il governo e il ministero del lavoro sventolavano i report dell’INPS felici per le statistiche che vedevano non solo i lavoratori dipendenti aumentare, ma in particolare quelli a tempo indeterminato.
Sembrava la prova che il Jobs Act funzionasse, anzi che funzionasse proprio allo scopo principale, quello del miglioramento qualitativo dell’occupazione, favorendo quella a tempo indeterminata su quella precaria.
Il punto è che assieme al Jobs Act erano stati varati, nel 2014, degli incentivi, la decontribuzione per i nuovi assunti, uno sconto che corrispondeva fino a 8 mila € per dipendente, per 3 anni, per coloro che cominciassero a lavorare entro la fine del 2015. Dopo lo sgravio previsto è stato dimezzato.
I timori erano che questa fine parziale degli incentivi sarebbero stati un brutto colpo alle statistiche sulle assunzioni. Ebbene, non erano timori vani.
Assunzioni a tempo indeterminato, nel 2016 un quarto di quelle del 2015
Si era già visto con i primi dati dell’anno dell’osservatorio per il precariato dell’INPS, ma ora, con i dati aggiornati a maggio il trend diventa qualcosa di più strutturale.
Questi gli assunti fino a maggio. Sono come si vede l’11% in meno rispetto all’anno scorso, ma in particolare sono meno anche rispetto al 2014, quando ancora eravamo in recessione.
E il calo è anche e soprattutto a tempo indeterminato, -34%!!
Giù del 37% anche le trasformazioni da rapporto a termine a tempo indeterminato nel 2016 rispetto al 2015, e purtroppo anche sul 2014
I dati per mese confermano: ogni mese da gennaio a maggio costantemente le cifre delle assunzioni sono inferiori a quelle del 2015 e del 2014. Solo nelle assunzioni a termine a maggio le cifre superano quelle del 2014, ed è solo grazie a queste che le assunzioni totali sono di 3 mila superiori a quelle del 2014
Calano anche le cessazioni, ovvero i licenziamenti, sia rispetto allo scorso anno che a due anni fa.
Fatto che smentisce anche chi temeva che con il Jobs Act un Paese piuttosto immobile nel mercato del lavoro si sarebbe “americanizzato” con più licenziamenti e assunzioni, un turnover più veloce.
Nulla di tutto questo a quanto pare. Anzi la fine della crisi porta un rallentamento e un calo dei licenziamenti.
Una notizia positiva se fosse però accompagnata da un’accelerazione delle assunzioni.
Che non avviene tuttavia.
Il saldo tra assunzioni e licenziamenti infatti è sì positivo (almeno per i lavoratori dipendenti) per 435 mila persone, meno dei 537 mila del 2015 ma comunque più dei 384 mila del 2014.
Se però pensiamo al saldo dei posti a tempo indeterminato è un crollo: solo 82 mila nuovi posti, contro i 379 mila del 2015 e i 122 mila del 2014.
Il calo è generale, riguarda sia i nuovi rapporti di lavoro che le trasformazioni da rapporti a termine a quelli a tempo indeterminato, che quelle degli apprendisti.
Un improvviso rallentamento che testimonia quanto le cifre del 2015, soprattutto della fine dell’anno fossero una bolla purtroppo, dovuta agli incentivi, che in molti casi hanno provocato un’anticipazione di assunzioni che sarebbero avvenute dopo.
Ma questo è poco consolatorio. Non è quel gran saldo positivo di 270 mila persone a dicembre che compensa i dati del 2016, anche perchè parallelamente c’era stata la variazione netta negativa dei rapporti di lavoro a termine.
In ogni caso i saldi positivi dei mesi precedenti, sempre a tempo indeterminato, erano stati sempre superiori a quello di maggio: 7661 striminziti posti in più.
Assunzioni a tempo indeterminato, il calo è soprattutto al Sud
E pochi si stupiranno che l’inversione di tendenza per la fine degli incentivi si sia fatta sentire soprattutto laddove l’economia è più fragile, i margini e la produttività minori e ci si aggrappa quindi a ogni possibilità per risparmiare sul costo del lavoro, salvo avere un rimbalzo negativo quando questi vantaggi, gli unici spesso a far sopravvivere un posto di lavoro, finiscono.
Infatti solo a Nord Ovest e Nord Est c’è un aumento, seppur minimo delle assunzioni a tempo indeterminato e di quelle a termine rispetto al 2014.
Al Centro Sud vi è un calo, e neanche piccolo, di più di 50 mila assunzioni a tempo indeterminato.
Un Paese sempre più spaccato, che come in altre occasioni esce da temporanei sussidi con una maggiore disuguaglianza, perchè questi ultimi hanno solo messo sotto il tappeto le inadeguatezze strutturali delle aree più fragili, anzi impedendo cambiamenti.
Ma i nodi vengono al pettine.
Le aziende continuano a preferire le assunzioni a termine, per una questione di prospettiva, poche sanno se avranno lo stesso giro d’affari tra un anno, ma anche di costi, perchè vi è ora anche il prezzo dei licenziamenti che con la nuova legge è divenuto caro, una garanzia in più per il licenziato, ma certo non un incentivo all’assunzione.