Ecco perché il figlio di Erdogan è indagato in Italia
L’intervista concessa a Rai News 24 da Recep Tayyip Erdogan, presidente della Turchia, ha fatto molto discutere. Soprattutto per i toni minacciosi utilizzati dal presidente turco nei confronti dell’Italia, accusata di voler mettere in crisi i rapporti tra i due Paesi a causa di quella che viene definita come una sorta di persecuzione giudiziaria contro Necmettin Bilal, il figlio di Erdogan. Ma quali sono le vicende che hanno aperto l’iter giudiziario e scatenato le veementi proteste del presidente turco?
Necmettin Bilal Erdogan, 35-enne figlio di quello che viene considerato (dai suoi detrattori) come l’aspirante sultano di Turchia, è dottorando all’Università di Bologna dal 2006 – con un’interruzione nel 2012 per quelli che sono stati giustificati come motivi di salute – un iter che, secondo la John Hopkins, avrebbe dovuto concludersi nel giugno del 2016.
La vicenda giudiziaria italiana ha avuto inizio nell’ottobre del 2015, con la presentazione di un esposto alla procura di Bologna da parte di Murat Hakan Uzan, imprenditore esule in Francia ed appartenente ad una delle famiglie turche più abbienti negli anni ’80 e ’90, che ha dovuto subire l’esproprio dei propri beni a partire dai primi anni 2000, durante cioè l’ascesa politica nazionale di Erdogan. Ma c’è di più: Cem, il fratello di Murat, nel 2002 fondò il “Genc Parti” (“Partito della Gioventù”) in contrapposizione all’AKP di Erdogan, ottenendo pochi mesi dopo il 7,3% dei voti. E sarebbe proprio questo duello politico alla base dell’attacco di Erdogan al potere economico degli Uzan, con gli espropri che lo costrinsero all’esilio.
Un estratto dell’intervista esclusiva di @RaiNews al Presidente #Erdogan. L’integrale su ☞https://t.co/t2HKPW2se1 pic.twitter.com/kulEBrBx8R
— Rainews (@RaiNews) 2 agosto 2016
Ecco perché il figlio di Erdogan è indagato in Italia
Nell’esposto, Uzan aveva chiesto alla procura di indagare su eventuali somme di denaro portate in Italia da Bilal Erdogan, prefigurando così l’ipotesi di reato di riciclaggio. Per Bilal e la famiglia Erdogan in realtà non è la prima accusa del genere. Un’inchiesta condotta nel 2013 dalla magistratura turca fece emergere la cosiddetta “Tangentopoli del Bosforo”, puntando il dito contro il governo di Erdogan e il suo partito AKP. Un affare da centinaia di milioni di euro di tangenti svanite nel nulla. E sarebbero proprio quelle ingenti somme di denaro al centro dell’accusa di Uzan, secondo cui la presenza di Bilal in Italia sarebbe servita – più che per motivi di studio – proprio a “mettere al sicuro” tale denaro.
In questo Paese i giudici rispondono alle leggi e alla Costituzione italiana, non al presidente turco. Si chiama “stato di diritto” #Italia
— Matteo Renzi (@matteorenzi) 2 agosto 2016
Tali accuse avrebbero spinto la procura di Bologna ad iscriverlo nel registro degli indagati. E sarebbero alla base del suo rientro in Turchia nel marzo scorso, ufficialmente per “motivi di sicurezza”. Perché, come sottolineato anche dallo stesso presidente turco a Rai News 24, “se tornasse in Italia potrebbe essere arrestato”. Da qui la richiesta di Erdogan all’Italia: “che si occupino di mafia e lascino perdere mio figlio”. Una stoccata che non è andata per niente giù al premier Matteo Renzi, che ha chiesto ad Erdogan di lasciar perdere le valutazioni sulla salute dello stato di diritto in Italia. Ancor più dura l’Associazione Nazionale dei Magistrati (ANM), che ha chiesto al presidente turco di pensare a salvaguardare lo stato di diritto in patria, scosso dal tentativo di colpo di stato di qualche settimana fa e dalla conseguente retata di arresti di persone – tra cui anche magistrati – ritenute responsabili e sostenitrici del tentato golpe.