La personalizzazione del referendum costituzionale
Vi pongo tre quesiti ai quali spero rispondiate sinceramente: di tutte le volte che avete letto o sentito parlare del referendum costituzionale d’autunno sulla gran riforma (indipendentemente dal mezzo di comunicazione), quante di esse si sono centrate nella divulgazione dei contenuti concreti della riforma? E In quante ha prevalso una valutazione soggettiva del tema? Adesso riflettete ulteriormente su quanto conosciate, nel concreto, la riforma sottoposta a referendum. Finalmente, controllate se la vostra posizione sul referendum corrisponda a quella del partito verso il quale siete maggiormente affini. Per una larga maggioranza, il risultato sarà prevedibilmente il seguente: le notizie riguardanti la riforma costituzionale – indipendentemente dal mezzo di comunicazione – si fondano in valutazioni soggettive, che non permettono al cittadino di conoscere i contenuti concreti della riforma e che deve affidarsi, pertanto, al parere dei leader politici e di eminenti portatori di opinione.
La prospettiva principale dalla quale si mira questo storico referendum consultivo non si basa sui contenuti della riforma, bensì su una questione squisitamente politica. La discussione e il dibattito passano quasi unicamente attraverso il filtro delle opinioni dei leader politici ed eminenti giuristi. Disconoscendo il contenuto della riforma, la prospettiva personale del portatore di opinione diventa decisiva. Da questa premessa si può parlare di una personalizzazione del referendum. Cosa comporta tale scelta nella teoria e nella pratica politica?
Referendum Costituzionale: personalizzazione e teoria democratica
Sul piano della teoria democratica, l’istituto referendario si spoglia del suo valore ontologico, ovvero della sua essenza più intima: come strumento di massima espressione del potere popolare e di democrazia diretta, incidendo concretamente sul piano legislativo (attraverso l’espressione di una opinione propria formata previamente). In questo caso, l’opinione espressa non sarà altro che il riflesso della posizione presa dal leader o partito affine. La coincidenza tra voto espresso e posizione del partito trasla la partita nel campo della pura competizione elettorale. Partiti e leader politici perpetrano la “permanent campaign” (una teoria formulata dal teorico politico Patrick Caddell) e cercano l’appoggio di nomi altisonanti o quantomeno rispettabili.
Per poterci addentrare nel piano della pratica politica, dobbiamo percorrere il cammino a ritroso e pensare al contenuto concreto della riforma costituzionale, alla scelta strategica di adottare un referendum che possa legittimare le modifiche costituzionali e, finalmente, alle ragioni per cui la personalizzazione del referendum fosse ampliamente prevedibile. E’ evidente che una riforma costituzionale non sia argomento facile da trattare. Se la modifica di un solo articolo può portare a una profonda revisione legislativa, nel nostro caso parliamo di una variazione di quasi 50 articoli.
#Renzi, che inversione ‘a U’ su #referendum: da “se perdo lascio” a “non è voto su di me” > https://t.co/GUpxluL5lx pic.twitter.com/UEA6ECp1Xt
— Comitato per il NO (@ComitatoDelNO) 3 agosto 2016
Giuristi e costituzionalisti divergono sugli effetti che provocherebbe la applicazione integrale della riforma e se questa possa incidere sui valori fondanti della Repubblica. Pur volendo informarsi per poter votare secondo coscienza, un cittadino che non disponga di forti conoscenze nell’ambito della giurisprudenza non riesce a formarsi una opinione personale che sia indipendente. È qui che incrementa esponenzialmente il peso dei leader politici, sul quale l’elettore può fare affidamento. Fin dalla sua gestazione, il referendum ha avuto caratteristiche tipiche di una pura competizione elettorale. Sorge una domanda (retorica) spontanea: è possibile che il governo non avesse previsto uno scenario dove la personalizzazione della riforma avrebbe dominato insindacabilmente sul suo contenuto concreto?
Referendum Costituzionale: e i contenuti?
L’attuale primo ministro Matteo Renzi (supportato dalla ministra Maria Elena Boschi) ha politicizzato il referendum costituzionale fin dal primo istante. La continua pressione dell’ “aut-aut” (in sede parlamentare) applicata attraverso un frequente utilizzo della mozione di fiducia, passa a quella elettorale. Ovvero, le possibili alternative sono direttamente relazionate con il progetto di un partito (il PD), “basta un si” per appoggiarlo, un “no” per screditarlo. Inoltre, considerata l’alta identificazione del partito nel suo massimo esponente Renzi, fa sì che questo referendum assuma un carattere plebiscitario.
Tanto il governo come l’opposizione giocano questa partita storica con illusione: da parte del premier Renzi, è una occasione storica per lasciare un segno indelebile nella storia della Repubblica: quasi 50 articoli della costituzioni riformati, per l’appunto. Le opposizioni intravedono la possibilità (forse la prima da quando l’ex sindaco di Firenze è a capo dell’esecutivo) di rovesciare uno dei governi più longevi della Repubblica Italiana. Considerando l’inconciliabilità degli interessi dei partiti, delle loro aspettative sul referendum, è poco probabile un cambio di prospettiva (da qui fino al giorno della votazione): i contenuti concreti della riforma rimarranno fumosi e le voci degli esponenti di partito continueranno ad attrarre i cittadini verso il porto del si o del no, in un gioco a “somma zero” nel quale non c’è spazio per un dialogo costruttivo.
Alessandro Faggiano