Isis: il doppio legame con l’Occidente
Da almeno un paio d’anni a questa parte, da quando il fantasma della minaccia terrorista di matrice islamica si è materializzato sul mondo occidentale, si sono cercate innumerevoli chiavi di lettura per poter comprendere il fenomeno. In merito alla genesi del terrorismo, si è supposto che sia stata una risposta estrema dell’ “antioccidentalismo”; o ancora, uno strumento per poter raggiungere fini di natura politica ed economica (celandoli sotto la maschera della religione) e finanche un prodotto indotto dall’imperialismo per poter legittimare la partecipazione militare e politica in zone di grande rilevanza strategica (sia per le risorse naturali, sia per la stessa posizione geografica). Negli ultimi mesi, dovuto all’incremento del numero di attentati rivendicati dal DAESH, si è acuito e palesato quello che Samuel Huntington definiva “lo scontro delle civiltà” (1993). Come conseguenza diretta, la violenza – all’ interno dello stesso blocco occidentale – è accresciuta enormemente ed è ciò che lega a doppio filo i destini degli attori in gioco.
Isis: terrore e spettacolarizzazione della violenza
La strategia propagandistica del DAESH (o Isis) si fonda – come per altri gruppi terroristici – su paura e terrore. Ma c’è una differenza importante: il mezzo per raggiungere lo scopo è la spettacolarizzazione della violenza. I video diffusi in rete, di una brutalità conclamata, mostrano la violenza fisica non solo come accettabile, ma addirittura giusta. A partire dalle decapitazioni fino alle esecuzioni da parte di bambini soldato, Abbiamo potuto vedere con i nostri occhi, a più riprese, spettacoli di violenza che inorridiscono la maggior parte delle persone di tutto il mondo e che provocano paura e terrore. D’altro canto, può favorire l’istinto di emulazione in determinati soggetti. In definitiva, genera terrore e fomenta l’ideale terrorista attraverso una accettazione della violenza.
Isis: la normalizzazione della violenza in Occidente
L’aumento nella frequenza degli attentati fa sì che la popolazione che vive in Occidente cominci a convivere con lo spettro del terrorismo e ciò si percepisce sul piano sociale. L’intolleranza e il sospetto sono i principali alleati della divisione e del contrasto. A una radicalizzazione del contrasto e della paura, il possibile utilizzo della violenza fisica diventa tollerabile. Secondo il massimo teorico per gli studi sulla pace, Johan Galtung, “la violenza diretta o fisica deriva innanzitutto dalla violenza culturale e dalla violenza strutturale”. La propaganda dell’Isis ha accresciuto indubbiamente la violenza culturale (ovvero il risentimento e il contrasto tra due o più gruppi sociali). Le misure di sicurezza adottate dal sistema politico hanno, invece, generato maggior violenza strutturale (ovvero quella disuguaglianza sul piano sia formale che sostanziale che produce astio e risentimento).
Isis: uno dei periodi più violenti della recente storia occidentale
Per quanto gli Stati Uniti d’America non siano stati colpiti da nessun attacco terrorista negli ultimi anni, la crescente esposizione mediatica alla violenza ha generato dei meccanismi di assimilazione simili a quelli visti in Europa. La libertà del possesso d’armi facilita enormemente l’esplosione di violenza anche nel baluardo della civiltà occidentale, logorato internamente da contrasti sociali storici (con il tema razziale in primis) tornati in auge negli ultimi mesi. Agli attentati su suolo europeo, fanno da contraltare le sempre più frequenti sparatorie negli Stati Uniti. La cultura della violenza attecchisce sempre di più all’interno del suolo fertile della paura, dell’intolleranza e del sospetto: fattori che limitano fortemente il dialogo e una possibile distensione.
Isis: lavorare sulla violenza “culturale”
Tra le tante variabili analizzate per spiegare genesi e sviluppo del terrorismo (politiche, economiche, sociali e culturali) ci siamo soffermati troppo spesso sulle differenze inconciliabili, non facendo altro che rafforzare uno stereotipo negativo dell’altro (tanto da parte dell’Occidente che da quello dei partitari del DAESH). La violenza culturale e la cultura della violenza sono, però, fortemente radicate nella società contemporanea, tanto nell’uno che nell’altro bando. La violenza viene gradualmente interiorizzata come componente centrale di questo periodo storico, e pertanto se ne sminuiscono (almeno inconsciamente) i suoi drammatici effetti. La stessa escalation di violenza si deve ad entrambi i bandi che stanno conducendo una guerra atipica e nel quale la gran maggioranza della popolazione si trova intrappolata. Il principale campo di battaglia non è più un luogo fisico, o un leader da abbattere. È prima di tutto una certa politica del terrore e dell’intransigenza che ha fomentato una violenza generalizzata. La vittoria definitiva contro il terrorismo non si otterrà attraverso bombardamenti a tappeto. Si potranno liberare i territori occupati dal DAESH e neutralizzare i leader dell’organizzazione, ma il fenomeno del terrorismo si sviluppa nel contrasto estremo, nella totale negazione dell’altro. Ciò si potrà risolvere solo attraverso una politica incisiva per ridurre quella violenza (culturale e strutturale) che è cresciuta esponenzialmente negli ultimi anni.
Alessandro Faggiano