La riforma costituzionale al vaglio del referendum del prossimo autunno comprende anche la modifica del Titolo V ovvero la parte che regolamenta i rapporti tra lo Stato centrale e il Governo territoriale. Il seguente dossier mette a confronto il testo vigente con il testo modificato.
Vediamo, però, meglio nel dettaglio di cosa si tratta e confrontiamo il DDL Boschi con la Riforma del 2001.
Innanzitutto, nel disegno attuale di modifica della Carta costituzionale vengono abolite le province che perdono così il loro potere di essere un Ente autonomo con un proprio statuto e funzioni. La nostra Repubblica sarà quindi costituita, come recita il nuovo Art. 114, da: Comuni, Città metropolitane, Regioni e dallo Stato.
L’articolo maggiormente toccato dalla Riforma è però il 117, nel quale vengono esplicitate le competenze tra lo Stato e le Regioni. Ci sono le materie a legislazione esclusiva, ovvero quelle che competono solo allo Stato, come, ad esempio, la politica estera, l’immigrazione, la difesa e le forze armate e il battere moneta, oltre a queste sono state aggiunte anche il coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, le disposizioni generali per la tutela della salute pubblica e per le politiche sociali, le norme sull’ordinamento scolastico e universitario, misure relative alle infrastrutture e alle piattaforme informatiche; e inoltre viene inserita anche la tutela e la promozione dei beni culturali e le disposizioni generali sulle attività culturali e sul turismo.
Alle Regioni spetta, invece, la podestà legislativa in merito all’organizzazione e alla pianificazione, ma non più alla spesa, delle disposizioni statali.
Il nuovo testo costituzionale abolisce, inoltre, le materie di legislazione concorrente ovvero quelle sulle quali non vi era una specifica competenza tra lo Stato e gli Enti locali. Proprio su queste materie che non hanno particolari vincoli di competenze sono sorti, dal 2001 ad oggi, innumerevoli contenziosi tra lo Stato e le Regioni a cui la Corte Costituzionale ha dovuto continuamente porre rimedio. Un sistema che ha generato continue tensioni tra il centro e la periferia del nostro Paese, a cui questa riforma vuole decisamente intervenire.
La riforma del 2001 andava infatti verso una trasformazione in senso più federale dello forma di Stato perché spostava le funzioni, le decisioni e la spesa su più livelli istituzionali, nel tentativo di rispondere in maniera più diretta alle esigenze dei cittadini.
A distanza però di più di quindici anni, i legislatori si sono resi conto che quel tentativo di cambiare la forma di Stato, rimasto del tutto a metà, ha creato maggiori squilibri tra le Regioni e ha portato ad allontanare maggiormente i cittadini dalle faccende politiche.
Dopo il 2001, le Regioni si sono trovate ad avere più margini su cui poter legiferare e quindi anche a poter spendere, per questo, più soldi. Il problema è sorto perché queste spese non erano del tutto controllabili perché non spettava poi a loro recuperare quanto avevano speso ma toccava allo Stato con la raccolta dell’IVA e dell’addizionale IRPEF versarne una parte nelle casse delle Regioni.
Un meccanismo avulso dalle logiche dell’efficienza e della meritocrazia. Inoltre, in questi anni, è accaduto spesso che il Parlamento dovesse innalzare le imposte locali per risanare i bilanci regionali oppure lo Stato stesso è dovuto direttamente intervenire per risanare le perdite, prelevando i soldi della fiscalità generale (quella che pagano tutti i contribuenti) e spalmando così una gestione scellerata di una Regione su tutto il territorio nazionale.
Questo perverso meccanismo ha portato ad incrementare lo sperpero di denaro pubblico, gli scandali e la corruzione determinando un continuo aumento del debito pubblico.
Risultato: oggi i cittadini sono ancora più distanti e lontani dalla gestione della cosa pubblica.
Ritengo, dunque, che la riforma attuale andando in senso nettamente opposto a quella precedente in quanto riaccentra nello Stato tutte le più importanti funzioni, comprese tutte quelle in materia fiscale, sia un disegno nel suo insieme molto più ragionevole e coerente che tiene conto delle difficoltà che la precedente Riforma ha prodotto.
Ed è importante sottolineare l’importanza che ha in questa nuova impostazione la modifica della configurazione del Senato della Repubblica che diventa l’organo rappresentativo delle autonomie locali e sposta nelle sedi del potere centrale le funzioni che prima con la Riforma del 2001 erano destinate alle Regioni.
Questo punto è quindi fondamentale per comprendere, a mio avviso, l’impostazione che i legislatori hanno dato a questa modifica della Carta Costituzionale, in quanto questa è la parte che tocca più da vicino noi cittadini e sarebbe giusto, in quanto tali, conoscerne bene tutti i dettagli.
Anna Calò per Comunicatore Pubblico
(Fb: Comunicatore Pubblico)