Sul calendario c’è una data che Matteo Renzi ha cerchiato di rosso: il 4 ottobre. Quel martedì, la Corte Costituzionale sarà chiamata a discutere sui ricorsi giunti dai tribunali di Messina e Torino rispetto all’ Italicum, la legge elettorale approvata nel maggio 2015 ed entrata in vigore il primo luglio di quest’anno. E’ proprio su quella sentenza infatti che il governo si gioca gran parte del risultato referendario del 20 o 27 novembre prossimo: se la legge venisse dichiarata in gran parte incostituzionale, si aprirebbe uno scenario di totale incertezza. Nel bel mezzo della discussione sulla legge di bilancio, infatti, il governo dovrebbe essere in grado di dare una sterzata alla sua azione politica per smorzare gli entusiasmi dei sostenitori del “No” alla riforma costituzionale, che uscirebbero inevitabilmente rafforzati da una decisione di questa portata.
Italicum, su cosa si pronuncerà la Corte
I 15 giudici che si riuniranno il 4 ottobre dovranno prima di tutto accorpare gli 8 motivi di incostituzionalità presentati dai tribunali di Messina e Torino. Nel caso della Corte siciliana i 6 motivi di ricorso ritenuti “non manifestamente infondati”, e che quindi approderanno alla Consulta, sono: 1) “il vulnus al principio di rappresentanza territoriale”, 2) “il vulnus al principio di rappresentanza democratico” (premio di maggioranza), 3) la “mancanza di una soglia minima per accedere al ballottaggio”, 4) l’impossibilità per l’elettore di scegliere “liberamente e direttamente” i deputati (capilista bloccati), 5) le “irragionevoli” soglie di sbarramento residuate del Consultellum (8% per i partiti e 20% per le coalizioni), 6) la scelta altrettanto “irragionevole” di aver approvato una legge elettorale solo per la Camera dal momento in cui è ancora in vigore il suffragio universale anche per il Senato. Un mese fa anche il Tribunale di Torino, tramite il giudice monocratico Maria Cristina Contini, ha inviato alla Corte altri due motivi di incostituzionalità: il premio di maggioranza relativo al ballottaggio attraverso il quale il legislatore “pone il concreto rischio che il premio venga attribuito a una formazione che è priva di adeguato radicamento nel corpo elettorale” e le pluricandidature dei capilista bloccati.
Italicum, la difesa dell’Avvocatura dello Stato
Ieri l’Avvocatura dello Stato ha presentato il proprio ricorso alla Consulta attraverso cui difenderà le ragioni della legge elettorale. La tesi principale, come scrive stamani il Fatto Quotidiano, è quella secondo cui “nessun diritto del cittadino” può essere stato leso in quanto nel frattempo non si è svolta “nessuna elezione” e quindi l’Italicum non è mai stato usato. Dall’altra parte l’avvocato Felice Besostri, colui che presentò i ricorsi nei confronti del Porcellum poi dichiarato in parte incostituzionale dalla Consulta, afferma che l’impresa per l’Avvocatura dello Stato “è disperata” perché “l’Italicum è uguale al Porcellum” e, in caso contrario, la Corte Costituzionale dovrebbe “rinnegare i principi della sentenza n.1/2014 (incostituzionalità del Porcellum, ndr)”. E’ utile ricordare che, nonostante la “giurisprudenza” abbia un peso rilevante nel controllo di legittimità costituzionale, dal dicembre 2013 (quando venne presa la decisione sul Porcellum) ad oggi la composizione della Corte è cambiata per quasi metà dei suoi effettivi, ben 6 su 15.
Italicum, Orlando: no al doppio turno
Nel frattempo aumenta il pressing sul premier per modificare l’Italicum, e anche velocemente. E dopo Dario Franceschini, un altro membro dell’esecutivo (targato Pd) chiede una modifica della legge elettorale. Ieri, in un’intervista al Mattino di Napoli, il Guardasigilli Andrea Orlando ha auspicato una correzione dell’Italicum che porti all’eliminazione del doppio turno con un premio di maggioranza “proporzionale al risultato” così da “evitare le coalizioni forzate e al contempo garantire buone probabilità di governabilità”. “Questo – ha continuato il Ministro della Giustizia – alla luce di un sistema che ormai è diventato tripolare”. A stretto giro è arrivata anche una dichiarazione dell’ex capogruppo alla Camera Roberto Speranza che, a ben vedere, contesta al governo gli stessi motivi di incostituzionalità su cui la Corte sarà chiamata a decidere in ottobre. “Con il sì al referendum la Camera sarebbe l’unica a dare la fiducia e legiferare – ha detto Speranza in un’intervista al Piccolo di Trieste – non possiamo arrivare al referendum con una legge che prevede un premio di maggioranza distorsivo e fa scegliere gli eletti al capo. Senza una modifica il mio consenso non arriverà”.
Speranza: “Dal Pd un’iniziativa vera. L’Italicum va cambiato” https://t.co/RdNXjGrNxK da @il_piccolo @_diegodamelio_ pic.twitter.com/U6jzaAJlXZ
— Compagno è il Mondo (@articoloUnoMDP) August 19, 2016
Un nuovo Patto del Nazareno?
Intanto c’è già chi ipotizza una riedizione del Patto del Nazareno nel caso in cui la Consulta decidesse di cassare anche l’Italicum. Il politologo Angelo Panebianco sul Corriere della Sera scrive che in quel caso Renzi e Berlusconi potrebbero far immediatamente passare “una riforma elettorale fra loro concordata” che prendesse le sembianze “di quel sistema elettorale maggioritario con quota proporzionale che è stato in vigore in Italia negli anni Novanta”. In tal caso, Renzi potrebbe “salvare” la sua vita politica vincendo il referendum di un mese dopo mentre Berlusconi potrebbe “presentare l’accordo come una vittoria” e, insieme a Stefano Parisi, “avrebbe ancora carte sufficientemente buone per continuare a giocare”.